Capolavoro, grafica incredibile, ottimo multiplayer. Ma diciamocelo: da un punto di vista puramente narrativo Gears of War è una cosa incredibile e in quanto tale è meritorio di osservazione e studio.
A cominciare dalla discutibile scelta di raccontare gli eventi che accadono prima dell’inizio del gioco soltanto nei trailer diffusi sul Live e in una paginetta striminzita sul manuale. E’ una brutta abitudine che sta diventando diffusa (pensate ai creatori di Lost che svelano il significato dei famosi numeri in un cazzo di ARG).
Poi, parliamone: c’è questo tizio che è stato in una prigione per anni, rimesso a libro paga dall’esercito senza apparente motivazione (sua o dell’esercito). Al contrario di Gordon Freeman, lo vediamo in faccia ed è in grado di parlare, ma in realtà è una specie di strumento della storia e si limita a reagire agli stimoli esterni (o meglio sarebbe da dire che noi ci limitiamo a reagire agli stimoli esterni). Intendiamoci: non è che mi aspettassi un dramma di Arthur Miller, però persino Michael Bay si disturba a delineare un minimo i suoi personaggi.
E Epic invece? Non sembra preoccuparsi della cosa. Di Marcus Fenix sappiamo praticamente niente. Del suo amico Dominic Santiago addirittura meno.
Direte: ma GoW è un videogame d’azione! Le storie d’azione hanno bisogno di personaggi interessanti per funzionare. Cosa distingue un qualsiasi film con Chuck Norris da Trappola di Cristallo? L’improbabile personaggio di Bruce Willis, inadatto al ruolo di eroe, male armato e dalla lingua affilata.
La piattezza dei personaggi di GoW è quasi affascinante: non hanno praticamente alcuna differenza se si esclude l’aspetto fisico. Il doppiaggio (almeno quello italiano) è poi abbastanza simile, e nel casino generale spesso è difficile stabilire chi ha detto cosa.
La sensazione – dopo aver completato il gioco – più che di aver giocato un film, è di aver giocato alcuni capitoli di una serie televisiva. Guardate Band of Brothers o Lost dalla terza o quarta puntata e proverete la stessa sensazione di spaesamento.
E’ ammissibile qualcosa del genere da un gioco di primo piano e costato fior di quattrini? Secondo me no.
Il riconoscimento dei videogames come forma d’arte o (quantomeno) come intrattenimento rispettabile, passa anche per la nascita di nuove storie. Ma anche senza arrivare a questo, bisogna che certa gente impari che c’è uno standard qualitativo minimo che una narrazione deve rispettare (sia essa realizzata per un film, un libro o un videogame). Non è questione di talento o di arte, è soltanto mestiere. Scrivere è come guidare un auto: puoi benissimo non seguire le regole e fare di testa tua, ma devi essere dannatamente bravo. In caso contrario, basta tenere le mani strette sul volante e gli occhi sulla strada.
In sostanza: qualcuno paghi a CliffyB un po’ di lezioni di scrittura creativa.