Il numero di case di sviluppo che in questi anni è riuscito a proporre titoli con recensioni dalla media voto tanto alta quanto quella dei capolavori sfornati dai Naughty Dog è davvero esiguo. Le fredde cifre scaturite dalle statistiche comparative sui voti espressi dalla stampa di settore, però, hanno un senso solo per chi, bontà sua, ha avuto la possibilità di imemrgersi nelle atmosfere avventurose dell’ormai leggendaria trilogia di Uncharted.
Solo ripensando a ciò che il team di Andy Gavin e Jason Rubin ha saputo proporci dal 2007 ad oggi con l’epopea digitale di Nathan Drake, infatti, risulta evidente il perchè del calore smisurato con cui gli appassionati hanno accompagnato nei giorni scorsi la commercializzazione di The Last of Us, l’ultimo progetto che i Naughty Dog contano di pubblicare su PlayStation 3 prima di passare alla prossima console casalinga di Sony mettendo il proprio bagaglio di esperienza al servizio dei futuri acquirenti di PS4.
Dopo aver partecipato alle fasi di beta test organizzate nei mesi scorsi dagli sviluppatori californiani ed aver passato l’ultima settimana e mezzo in compagnia di Joel ed Ellie macinando 25 ore di gioco tra le missioni della campagna principale e le sfide della modalità multiplayer, con la recensione di The Last of Us che vi proporremo quest’oggi cercheremo così di arricchire di analisi e di contenuti la discussione intavolata in rete tra coloro che, giustamente o meno, guardano a questo titolo come ad uno dei più importanti e autorevoli della generazione che sta per volgere al termine.
LA DURA LEGGE DELLA GIUNGLA
Sganciandosi completamente dalla cronologia di Uncharted e dalle note vicende legate alle eroiche gesta di Nathan Drake, la storia di The Last of Us ci proietta in avanti nel tempo per mostrarci il triste destino cui andranno incontro coloro che, in questa dimensione parallela, lotteranno per sopravvivere in un mondo sconvolto da una pandemia causata da una specie mortale di funghi parassiti. Capace di intaccare la corteccia cerebrale degli infetti e di annullarne completamente la volontà per trasformarli in zombie acefali, l’odiato fungo del genere Cordyceps potenzia in maniera esponenziale le capacità motorie e sensoriali del “corpo ospite” per favorire la diffusione delle spore.
Per cercare ad ogni costo di limitare le infezioni, le autorità governative degli Stati Uniti (o di ciò che ne rimarrà a due decenni dall’esplosione della pandemia) decideranno così di porre in quarantena gli abitanti dei quartieri bonificati e di instaurare una dittatura militare per “difendere” i sopravvissuti dalle incursioni dei razziatori e dalle orde di non-morti. In questo infernale contesto di terrore si inserisce la storia di un ex sciacallo, Joel, convertitosi alla causa delle Luci per aiutare i membri di questa controversa organizzazione illegale facendo la spola tra i vari insediamenti esterni al perimetro controllato dai militari per consegnare cibo, munizioni, armi e messaggi.
La bontà del lavoro svolto dagli autori della casa di sviluppo californiana per erigere l’impalcatura narrativa di questo titolo è rappresentata magnificamente dal prologo della campagna principale, utilizzato dagli sviluppatori per offrire una breve ma determinante “infarinatura” sugli aspetti che contraddistingueranno la giocabilità e che dipingeranno il carattere rude e apparentemente distaccato dell’antieroe della campagna singleplayer. Il futuro brutale tratteggiato dagli autori scaraventa il giocatore in una dimensione di pura e semplice sopravvivenza, una condizione che il protagonista della storia, non potendo fare altro, decide di vivere abbandonando ogni precetto morale per non essere schiacciato dal peso della sua coscienza, e degli stessi clichè su cui sono caduti, uno dopo l’altro, tutti coloro che hanno tentato di intraprendere la medesima strada dei Naughty Dog.
Differentemente dalla stragrande maggioranza dei videogiochi “a tema zombesco”, infatti, il setting post-apocalittico scelto dagli autori californiani non viene proposto in modo pretestuoso e superficiale per “giustificare” l’azione di gioco ma, oltre che essere il perno attorno al quale verte l’intera dinamica del gameplay, rinsalda il legame emotivo e “ludico” tra i protagonisti e l’ambientazione per costruire la trama e gli eventi che si susseguiranno tanto nella campagna in singolo quanto nella modalità “Fazioni” (un aspetto approfondito nel paragrafo di questa recensione dedicato al multiplayer).
Pur senza raggiungere le vette di “lirismo scenografico” di Uncharted 2: Il Covo dei Ladri, grazie alle infinite sfumature caratteriali dello schivo Joel, della sfacciata Ellie, della pragmatica Tess e degli altri personaggi secondari con cui si ha la possibilità di interagire lungo il viaggio intrapreso dal protagonista e dalla sua giovane compagna di sventure, la storia di The Last of Us ha così il raro pregio di riuscire a indurre il giocatore a immedesimarsi completamente nel ruolo di Joel, merito del sapiente lavoro svolto dai Naughty Dog nel costruire un’avventura progressivamente sempre più trascinante.
LOTTARE PER SOPRAVVIVERE
Il castello di gioco eretto dai programmatori californiani per dare vita al gameplay di The Last of Us è, per così dire, una diretta emanazione delle decisioni assunte dagli autori per garantire al titolo una componente narrativa spaventosamente ricca di elementi descrittivi e di sottotrame collegate alla storia di Joel ed Ellie. Cresciuto in un giungla metropolitana dominata dalla legge del più forte e dalla cronica mancanza di risorse, di cibo e della semplice ma fisiologica tranquillità rappresentata dalla sicurezza di un letto caldo e di un tetto sopra la testa, l’eroe dell’avventura singleplayer è un vero e proprio maestro nell’arte della sopravvivenza e, di conseguenza, può scegliere in maniera completamente autonoma se approcciare i nemici furtivamente, con la forza o evitando del tutto il combattimento.
La straordinaria libertà garantita di riflesso al giocatore trova una sua dimensione negli strumenti messigli a disposizione assieme alle tecniche di sopravvivenza apprese da Joel in anni di “lavoro” tra le fila degli sciacalli prima e dei “postini delle Luci” poi. Per ciò che concerne l’approccio “diretto”, ad esempio, è impossibile non citare lo splendido sistema escogitato dai Naughty Dog per impostare le coperture dinamiche (e il relativo meccanismo automatico di “riorientamento” della posizione del protagonista quando ha la necessità di sporgersi da dietro una copertura), la mancanza della mira automatica, l’utilizzo degli eventi quick-time per le esecuzioni e le scene più concitate dei combattimenti corpo a corpo e, ultimo ma decisamente non per ordine di importanza, per la capacità di creare oggetti e potenziamenti per le armi. A quest’ultimo sistema è poi legata a doppio filo la necessità costante, da parte del giocatore, di esplorare l’ambientazione per reperire “materiali da costruzione” per medikit, bombe, coltelli e miglioramenti per bastoni di legno o di metallo, oltre ai pezzi per realizzare le fondamentali componenti modulari delle armi da fuoco (dai mirini ai miglioramenti spiccioli alla meccanica sull’innesco).
Lungi dall’essere uno sparatutto “canonico”, The Last of Us riesce a dare il meglio di sé anche in tutto ciò che riguarda gli elementi del gameplay “stealth”: le coperture dinamiche, ad esempio, non avvengono in maniera automatica e lasciano piena libertà di movimento all’utente (e all’avversario di turno che, così facendo, ha una più alta probabilità di individuare il nostro alter-ego). Per spezzare la routine comportamentale dei nemici creando un’esca sonora, inoltre, è possibile lanciare le bottiglie e i mattoni disseminati a macchia di leopardo nell’area di gioco, accovacciandoci e camminando lentamente per evitare di essere scoperti dai Runner (gli infetti “semplici”), dai Clicker (degli avversari particolarmente ostici che utilizzano la geolocalizzazione per udire anche il più flebile dei rumori prodotti dal protagonista), e dai nemici umani (i militari e i razziatori, nella fattispecie).
Quasi ogni aspetto delle dinamiche di gioco di The Last of Us, oltretutto, si presta per poter essere sfruttato sia nelle situazioni più dirette che in quelle più silenziose, dai mattoni (utilizzabili anche come delle vere e proprie armi di fortuna) alle bombe fumogene (impiegabili per far perdere le proprie tracce o per avere la possibilità di avvicinarsi al nemico per abbatterlo nel corpo a corpo), fino ad arrivare alle granate (lanciandole o piazzandole a mo’ di mina), alle azioni in QTE (per uccidere direttamente il nemico o per utilizzarlo come uno scudo umano) e alle armi (scegliendo l’arco per uccidere l’avversario di turno senza dare troppo nell’occhio). Anche il modo stesso in cui decidiamo di spendere i punti abilità e di utilizzare i materiali per costruire gli oggetti rientra in questo schema, con tutte le felici conseguenze in termini di immedesimazione che potete facilmente immaginare.
The Last of Us, però, non tenta di ricreare fedelmente le gesta compiute dai fortunati sopravvissuti di una futuribile apocalisse zombizzante e, di conseguenza, non è un simulatore: se lo fosse, infatti, la storia (e con essa la vita di Joel) finirebbe al primo, shockante incontro con un’orda silenziosa di Infetti. Una volta raggiunta una zona “critica”, la morte è pressoché inevitabile: per superare tali aree “sensibili” bisogna necessariamente procedere per tentativi, studiando l’ambientazione e provando a mettere insieme i tasselli di un “puzzle mnemonico” che ci permetta di trarre insegnamento dai nostri errori e di uscire indenni dalle situazioni più spinose senza essere costretti a vederle concludere nel peggiore dei modi, ossia col proverbiale intermezzo filmato del morso strappa-carotide del Clicker o del violento pestaggio dello sciacallo di turno.
È questo, sostanzialmente, l’aspetto più “personale” dell’impianto di gioco eretto dai Naughty Dog per farlo aderire alla brutalità della condizione di perenne pericolo sperimentata dai sopravvissuti: se per la platea più “immediata” degli appassionati di sparatutto tale impostazione potrebbe risultare eccessivamente e irrealisticamente “punitiva”, infatti, per gli utenti più “navigati” la sfida rappresentata dagli Infetti, dai soldati e dagli sciacalli non può non essere accettata come “elemento di giustificazione” per i sacrifici richiesti. Sta quindi al singolo giocatore decidere in quale luce osservare il caleidoscopico sistema di gameplay di questo titolo, specie considerando la grande rigiocabilità dell’avventura e la sua longevità effettiva (che, in base alle tattiche adottate, alla difficoltà selezionata e all’approccio scelto per affrontare i nemici e per esplorare i livelli, può tranquillamente raggiungere le 15-16 ore).
MULTIPLAYER
Studiato per offrire un’esperienza di gioco parallela e complementare rispetto a quella della campagna principale, il modulo in rete di The Last of Us ripropone buona parte delle soluzioni di gameplay escogitate dai Naughty Dog nel singleplayer per rielaborarle in funzione della guerra senza quartiere che gli sciacalli (i Ribelli) e gli abitanti dei quartieri più esterni dell’area di quarantena controllata dai militari (i Sopravvissuti) si faranno per difendere i propri accampamenti dagli assalti della fazione avversa.
Una volta selezionata la fazione di appartenenza, ciascun utente è così chiamato ad allestire un proprio campo base acquisendo superstiti, cibo e materiali da costruzione attraverso le sfide a cui decideremo di partecipare online: maggiore sarà il numero di superstiti e la quantità di materiali reperiti, più veloce sarà il processo di sblocco delle personalizzazioni estetiche e dei punti equipaggiamento necessari per usufruire delle armi, dei potenziamenti e delle abilità più potenti.
Le modalità proposte dagli sviluppatori, per il momento, sono solamente due e rappresentano, per giunta, due varianti della stessa sfida: nella prima, defininta “Caccia ai Rifornimenti”, due squadre composte da quattro giocatori online ciascuna devono uccidere i membri della squadra avversaria, premurandosi oltretutto di esplorare la mappa per acquisire i preziosi materiali utili per migliorare il proprio campo base. Nella sfida “Sopravvissuti”, invece, gli aspetti tattici del combattimento hanno la meglio sull’immediatezza grazie all’assenza delle rigenerazioni e al conseguente “spacchettamento” delle sfide in una struttura a turni che premia chi riesce ad abbattere tutti i membri della squadra nemica per almeno quattro volte.
Mancano così tutte le sfide cooperative e le modalità “simil-Orda” che hanno fatto la fortuna degli sparatutto concorrenti: un’assenza, quest’ultima, che risulta essere ancora più “fastidiosa” se pensiamo alla bontà dell’intelligenza artificiale dei nemici incrociati nella campagna in singolo e alla facilità con cui gli sviluppatori avrebbero potuto giustificare, in termini squisitamente narrativi, la presenza delle sfide cooperative contro gli Infetti.
GRAFICA E SONORO
Come per la trama, per il gameplay e per quasi tutti gli altri aspetti dell’opera, anche per ciò che ha a che fare con la grafica di The Last of Us non possiamo che elogiare il lavoro certosino svolto in questi anni dai programmatori di Naughty Dog. Acclamanto universalmente dagli appassionati e utilizzato dalla stampa di settore come metro di giudizio per le anteprime e le recensioni dei titoli della concorrenza, il comparto tecnico di The Last of Us spicca per il livello di realismo raggiunto dagli studios californiani nella rappresentazione digitale di un mondo sconvolto da un’apocalisse e reso irriconoscibile dal brutale intervento di “risanamento forzoso” compiuto dai sopravvissuti per ricavarsi uno spazio vitale nel cuore delle metropoli americane dominate dagli zombi. Uno spazio, quest’ultimo, decisamente più piccolo di quello che dovremmo trovare noi se volessimo approfondire tutti i “punti qualificanti” della grafica con delle analisi che, di certo, finirebbero con l’assumere le dimensioni di una recensione a se stante: dalla definizione delle texture che mappano le superfici degli edifici alla vegetazione, dall’illuminazione ambientale alle animazioni dei personaggi nelle scene in cinematica e nelle “normali” sessioni di gameplay, tutto sembra dare l’impressione che si sia davvero raggiunto il limite estremo delle potenzialità di PlayStation 3.
A ulteriore riprova degli sforzi profusi dai ragazzi di Naughty Dog per raggiungere un tenore qualitativo analogo a quello di un kolossal cinematografico abbiamo poi la presenza del maestro argentino Gustavo Santaolalla (due volte premio Oscar con I Segreti di Brokeback Mountain e Babel) tra gli autori principali di una colonna sonora che, date queste premesse, non poteva che essere solida come il marmo e perfettamente in grado di accompagnare gli eventi che si inanellano lungo tutta la campagna principale. Una menzione d’onore spetta anche a chi, da questa e dall’altra sponda dell’Oceano Atlantico, si è occupato del doppiaggio in madrelingua e di quello in italiano.
COMMENTO FINALE
Iniziando come una disumanizzante esperienza di sopravvivenza e assumendo di missione in missione la forma di una toccante storia di amicizia e di attaccamento alla vita e ai valori della famiglia, il violento universo post-apocalittico plasmato dai Naughty Dog per stendere il canovaccio narrativo di questo titolo esplode in un turbinio di emozioni e di sensazioni destinate a rimanere impresse nelle menti e nei cuori dei fortunati appassionati di videogiochi che decideranno di immergersi in questo estraniante inferno interattivo
Brutale e immediato come un horror ma sensibile e profondo come un romanzo di formazione, il mondo di The Last of Us è un monumento alla bravura degli sviluppatori californiani che, con estremo coraggio, hanno deciso di allontanarsi dall’accogliente e familiare dimensione avventurosa di Uncharted per provare a scrivere una delle pagine più belle di questa generazione con un titolo così convincente e audace da trascendere qualsiasi “discorso critico” legato, in maniera banalmente strumentale, alla supposta mancanza di originalità del setting zombesco e delle dinamiche di gioco basate sulla libera impostazione “diretta” o “silenziosa” delle missioni in singolo e delle sfide in rete.
Longevo, riflessivo, divertente, impegnativo e mai banale: The Last of Us è uno dei videogiochi più completi e “perfetti” che siano mai stati realizzati, una stella di prima grandezza destinata a riflettere la propria scintillante luce sui titoli che verranno e a riverberarsi sull’intera galassia dell’intrattenimento digitale influenzandone il corso per almeno un decennio.
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