“Gli undici mesi più lunghi della mia vita”: è questa l’iperbole più utilizzata da chi, dai Video Game Awards del dicembre dello scorso anno ad oggi, ha spasmodicamente atteso la commercializzazione del quinto capitolo “maggiore” della saga di The Elder Scrolls. Chi, per professione o per pura passione, segue ciò che accade nell’universo videoludico e comprende i desideri, i sentimenti e le pulsioni di chi anima il settore, sa infatti che con TES V: Skyrim le emozioni e le speranze di milioni di appassionati trascendono il tempo e vengono enormemente amplificate dal ricordo delle centinaia di notti insonni passate ad esplorare i dungeon infestati e le foreste incantate di Morrowind e Oblivion.
Nel lungo ed estenuante viaggio intrapreso in questi anni dai ragazzi di Bethesda e da tutti coloro che hanno deciso di accompagnarli, le impervie montagne che abbracciano le valli di Skyrim sono perciò l’ultima tappa di un indimenticabile pellegrinaggio nella terra incantata dei GDR che gli sviluppatori capitanati da Todd Howard ci consentono di compiere per partecipare in prima persona allo spaventoso scontro tra gli umani e le divinità ancestrali ripresentatesi agli abitanti delle terre settentrionali del continente di Tamriel sottoforma di possenti e implacabili draghi.
Superata la soggezione per l’ipnotica creatura argentea che domina il nero imprescrutabile della copertina di The Elder Scrolls V: Skyrim, in questi giorni abbiamo macinato ore ed ore di gioco per cercare di scoprire tutti (o quasi) gli aspetti, le qualità e le criticità del titolo nella recensione che v’attende dopo la pausa e che, come le arcane iscrizioni incise a fuoco su di un antico piedistallo daedrico, non vede l’ora di essere letta.
ALDUIN E IL SANGUE DI DRAGO
Sono passati duecento anni dagli eventi che hanno sconvolto il Cyrodiil, ma le conseguenze dell’apertura dei cancelli di Oblivion continuano a riverberarsi sulle regioni vicine della Provincia Imperiale destabilizzandone le economie e le locali amministrazioni: nel Vvanderfell le lotte tribali spingono migliaia di profughi nell’entroterra di Morrowind, nell’Elsweyr l’inasprimento delle tasse imperiali portano all’esodo in massa dei commercianti Khajiit verso le regioni limitrofe e nei feudi della fredda Skyrim, patria di Tiber Septim e culla della civilità umana, il malcontento dei Nord alimenta l’avversione verso la capitale tanto da spingere i locali ad una rivolta che raggiunge il suo apice con l’assassinio del Re di Solitude, potente e ricca città affacciata sul Mare dei Fantasmi.
Come vaticinizzato dagli stregoni di corte e dagli antichi tomi del sapere, il caos politico che scuote il continente di Tamriel consente al dio Alduin e alla sua prole draghesca di discendere dall’Aetherium e di riguadagnare la dimensione materiale per reclamare i territori che, millenni addietro, gli sono stati strappati con la forza dalla stirpe degli uomini, ed è in una simile, spaventosa situazione che saremo chiamati ad impersonare colui che in lingua runica viene descritto come “Dovahkiin”, il Sangue di Drago.
Dotato di uno straordinario intelletto, di una naturale predisposizione alla battaglia e di un dono immenso e ancestrale che gli consente di uccidere i draghi, di assorbirne l’anima e di utilizzarla a proprio vantaggio per apprendere la potente lingua degli antichi, il Sangue di Drago rappresenta l’unica speranza per i popoli di Skyrim ridotti alla fame dagli assalti continui della prole infernale di Alduin: il canovaccio narrativo steso dagli autori di Bethesda, per questo, risulta essere malleabile come cera calda per aderire plasticamente alle decisioni prese di volta in volta da Dovahkiin in completa autonomia e senza alcun condizionamento esterno.
La trama di TES V, pur mantenendosi coerente con la tradizione della saga, ha come baricentro il Sangue di Drago e verte attorno a lui per esprimersi in migliaia di missioni e di compiti secondari che s’intrecciano indissolubilmente, e senza soluzione di continuità, alle missioni di quella che potremmo definire “l’avventura principale”. Per superare il problema della natura corpuscolare e frastagliata delle missioni di Morrowind e Oblivion, i ragazzi di Todd Howard hanno deciso di attingere a piene mani dal lavoro compiuto negli anni recenti con Fallout 3 (e con New Vegas) per riorganizzare il tutto attraverso quello che hanno giustamente definito “Radiant System”: la tipologia delle missioni principali, secondarie e “di gilda” affidateci dai PNG di Skyrim, grazie al sistema Radiant non segue percorsi prestabiliti ma è determinata dal livello e dalle abilità specifiche del nostro eroe, dalle aree visitate fino a quel momento e dal livello di notorietà raggiunto nei vari villaggi e nei feudi maggiori.
Proprio come in Fallout New Vegas (ma in maniera molto più estremizzata), non esiste alcun allineamento morale: gli abitanti di ogni luogo, dalla più umile delle botteghe al più sontuoso dei palazzi reali, giudicano il Sangue di Drago in base alle azioni pregresse compiute per loro (o contro di loro), affidandogli (o negandogli) degli obiettivi generati in maniera randomica dal sistema interno del titolo che, pescando dalle aree non ancora visitate e dai dungeon maggiori già esplorati ma non del tutto completati, seleziona il livello di difficoltà della sfida e aggiunge alla mappa il luogo della missione.
Tutto ciò, naturalmente, si traduce in una maggiore “varietà espositiva” che alimenta la diversità delle missioni e arricchisce l’impianto di gioco senza deprimerlo nemmeno nelle fasi avanzate di un’avventura che, inutile ripeterlo, potrebbe raggiungere e superare tranquillamente le 300 ore di longevità qualora si decidesse di esplorare ogni singolo dungeon visualizzabile sulla mappa (ai quali bisogna aggiungere le aree nascoste come le tane degli animali, le catacombe e le fogne dei feudi o gli accampamenti itineranti). Sotto il profilo squisitamente narrativo, però, la scelta di adottare un sistema di generazione casuale di missioni e la mancanza di una solida trama principale alla quale aggrapparsi per dare un senso compiuto alle azioni del proprio alter-ego sono due elementi che acuiscono pesantemente il giudizio negativo di chi, da Morrowind a Fallout 3, non ha mai potuto digerire un gameplay così “brutalmente sandbox”.
A prescindere dalle specificità della componente narrativa, Skyrim è comunque un progetto talmente ampio da prevedere molteplici interpretazioni: chi non ha apprezzato la trama estesa di Oblivion e la “non-trama” di Morrowind, infatti, dovrebbe guardare con estremo interesse al lavoro portato avanti dai Bethesda per migliorare sensibilmente le meccaniche di gioco di questa loro ultima creatura ruolistica.
UN IMPIANTO DI GIOCO MOSTRUOSAMENTE VASTO
Mosso dalla ferrea volontà di regalare ai loro appassionati un’esperienza di gioco maggiormente realistica, l’esperto team di Bethesda impiegato nel progetto ha rivoltato come un guanto il sistema di combattimento di Oblivion per estenderlo a dismisura con lo scopo di renderlo ancora più coinvolgente ed appagante. Dal combattimento corpo a corpo alle azioni difensive, dagli attacchi magici agli scontri all’arma bianca, passando all’utilizzo dell’arco e agli approcci “silenziosi” degli assassini e dei ladri, le “aree” su cui si è deciso di intervenire coprono praticamente tutti gli aspetti del gameplay e rendono straordinariamente bene l’idea di quanto faticoso possa essere stato il processo di sviluppo.
I delicati processi di ottimizzazione del motore fisico Havok e delle animazioni legate all’utilizzo delle armi e delle magie in combattimento, oltre che a donare al tutto un aspetto meno “meccanico” contribuiscono a rendere più appaganti gli scontri con i nemici sia dalla corta che dalla lunga distanza: il merito di questo piccolo grande miracolo videoludico (considerando quanto abbiamo avuto modo di vedere fino a Fallout New Vegas) va soprattutto al sistema della doppia impugnatura, grazie al quale è possibile adottare infiniti approcci alla battaglia utilizzando (in maniera completamente indipendente) centinaia di armi ad una o a due mani, di scudi fisici e magici, di incantesimi, di bastoni magici, di archi e di pergamene, concatenandone gli effetti per avere il pieno controllo delle proprie azioni.
Le animazioni delle armi e delle mosse d’attacco, oltretutto, cambiano organicamente in funzione delle peculiarità specifiche del nostro eroe e, naturalmente, della tipologia di nemico affrontato: gli scontri corpo a corpo e all’arma bianca, ad esempio, risultano essere particolarmente cruenti, con urla atroci e sangue che schizza sull’ambiente circostante (accecando Dovahkiin o limitandone la vista per qualche istante qualora si trattasse di sangue di demone, di ragno o di altre creature simili). Ogni creatura di Skyrim si comporta in modo diverso e adotta approcci alla battaglia che variano in base ai nostri attacchi e al numero di compagni a nostra disposizione (oltre ai mostri magici evocabili come nelle precedenti iterazioni della saga, infatti, si potrà assoldare un mercenario all’interno delle tante taverne che illuminano con le torce e i fumi dell’alcol le strade dei villaggi e dei feudi più grandi).
L’utile ma irrealistico movimento all’indietro che ha caratterizzato le fasi difensive di Oblivion e Morrowind, inoltre, è stato completamente rimosso per obbligarci ad affrontare l’avversario di turno con lo scudo alzato o, comunque, tentando di darcela a gambe con una fuga “classica” (anche in questo caso si è deciso di intervenire limitando la possibilità di “manovra” al momento dello scatto): a tal proposito è bene menzionare il fatto che il Vigore, in sostituzione della doppia barra della stamina e dello scatto, determina sia la “quantità di fatica” del Sangue di Drago nel correre, nell’utilizzare lo scudo o nel portare i colpi con l’arma, sia la quantità di peso trasportabile. Un’altra peculiarità dei combattimenti “fisici” (e non magici) di Skyrim sta nella “mossa finale” prodotta dall’eroe all’uccisione del suo nemico che, similarmente agli ultimi due capitoli di Fallout, si attiva automaticamente per mostrare la cruenta morte dell’avversario spettacolarizzandola con un movimento apposito della telecamera.
Di analogo tenore sono poi le novità introdotte nell’utilizzo delle arti magiche: per deliziare gli amanti dei GDR puri, i ragazzi di Bethesda hanno infatti ampliato il numero di incantesimi e, soprattutto, hanno aggiunto la possibilità di aumentarne esponenzialmente gli effetti utilizzando due magie dello stesso segno con entrambe le mani (lanciando contemporaneamente due incantesimi “Scudo Minore”, ad esempio, la quantità di danni evitati dallo scudo magico a due mani sarà sensibilmente maggiore). Per quanto riguarda gli attacchi “silenziosi” dei cacciatori e degli assassini, invece, le innovazioni principali sono “passive”, riguardano cioè aspetti quali i diversi livelli di percezione degli avversari e degli animali selvatici o la quantità di danno inferto ai nemici ignari della nostra presenza: sia nel caso degli assassini che dei maghi e dei guerrieri, la stragrande maggioranza delle abilità specifiche non vengono più gestite solo dal punteggio raggiunto nelle rispettive discipline ma, proprio come in Fallout 3 e in New Vegas, anche dalla scelta dei perk da abilitare ad ogni aumento di livello.
Schematizzati sulle stelle del firmamento di Skyrim, i perk delle varie discipline sono le stelle delle costellazioni che guidano le azioni di Dovahkiin e a cui quest’ultimo si affida per accrescere la propria “confidenza” con le arti del combattimento, della magia, dell’oratoria e dei vari mestieri (come l’alchimia, l’incantamento di oggetti tramite l’impiego di cristalli e la forgiatura di armi e armature). A questo proposito, non possiamo esimerci dal citare la straordinaria varietà di ingredienti, di minerali, di cristalli e di pergamene disseminati nell’enorme mappa di gioco che potremo raccogliere per tentare di combinarne gli effetti e creare così migliaia di pozioni, di armi e di armature uniche con cui intrecciare proficui rapporti commerciali con i bottegai di Skyrim.
Oltre ai perk legati all’avanzamento di livello, l’altro importante elemento di innovazione introdotto da Todd Howard e compagni nella struttura di gioco di The Elder Scrolls V è quello degli Urli: strettamente legati al canovaccio narrativo, gli Urli sono delle abilità speciali apprese da Dovahkiin utilizzando le anime dei draghi uccisi in battaglia per leggere le antichissime iscrizioni runiche scolpite sulla nuda roccia delle mura ancestrali erette dagli Dei nei millenni passati, e sulle quali i discendenti della stirpe draconica di Alduin amano passare le giornate appollaiandosi sulla sommità delle montagne nelle immediate vicinanze. Per riuscire ad apprendere queste antiche parole di potere, perciò, il nostro eroe deve vedersela con i draghi e le creature daedriche a guardia delle mura, lanciandosi così in combattimenti che definire epici sarebbe un eufemismo: ogni drago manifesta un proprio carattere e si comporta in modo diverso, prediligendo attacchi dall’alto o scendendo a terra per agguantare la sua preda con le possenti fauci. Gli scontri con i draghi di di Skyrim rappresentano la vetta qualitativa più alta dell’intera opera e rientrano di diritto tra le esperienze videoludiche più forti ed emozionanti che si possano mai provare.
GRAFICA E SONORO
Tecnicamente parlando, TES V: Skyrim non sorprende i “puristi del pixel” come il suo diretto predecessore (utilizzato da molti come un vero e proprio benchmark grafico per i PC del 2006) ma rappresenta comunque un balzo artistico in avanti che non possiamo derubricare come semplice aspetto secondario, né tantomeno come un elemento immeritevole di essere tenuto in considerazione. La mancanza di texture ad altissima definizione, di effetti di luce dinamica, di ambienti distruttibili e di un motore fisico onniscente è magnificamente sopperita dalla presenza di villaggi disegnati a mano, di scorci mozzafiato e, più in generale, di elementi naturali e architettonici ispirati solo ed esclusivamente alla storia della saga (talmente profonda da poter riempire un’enciclopedia) e non, come in passato, alle civiltà antiche. L’esempio perfetto di questo netto cambio di rotta da parte del team di artisti e disegnatori capitanato da Todd Howard è rappresentato dai miglioramenti apportati all’interfaccia di gioco per renderla più sobria (con la possibilità di ammirare la mappa tridimensionale dell’area di gioco o di osservare nel dettaglio tutti gli oggetti presenti nel proprio inventario), abbandonando così i pesanti e inutili orpelli barocchi dei menù di Oblivion: sull’altare dell’immediatezza è stata però sacrificata la funzionalità, tanto per la struttura di indicizzazione delle missioni quanto nella facilità di fruizione dell’inventario (nulla che non possa essere sistemato con una patch di pochi Mb, comunque).
Tralasciando le problematiche del caotico inventario, tutto trasuda stile e concorre a rendere visivamente unico ogni aspetto del titolo: il motore grafico di nuova generazione realizzato da Bethesda, il Creation Engine, pur senza esprimersi ai livelli stratosferici delle ultime versioni del CryEngine (Crysis 2) e del Frostbite (Battlefield 3), regala comunque degli effetti particellari squisiti (soprattutto nella rappresentazione del ciclo giorno-notte e nell’utilizzo delle magie e degli Urli) e risulta essere perfettamente in grado di soddisfare le esigenze dei modder che, potete contarci, penseranno a limare le poche ma evidenti spigolosità grafiche della versione PC migliorandola giorno dopo giorno e in modo del tutto gratuito.
Cantato in lingua draconica da un coro di barbari, il tema “Sons of Skyrim” composto da Jeremy Soule nobilita la colonna sonora di TES V e viene declinato in mille forme musicali diverse per enfatizzare le scene di gioco più importanti (su tutte, gli scontri con i draghi): gli altri brani che seguono ritmicamente l’evolversi delle azioni, le ore di dialoghi e la mole spropositata di campionamenti audio relativi ai suoni ambientali e ai versi delle creature fanno il resto e rappresentano la summa di tutto ciò che un appassionato vorrebbe ascoltare per immergersi a capofitto nel mondo di gioco del suo titolo preferito.
COMMENTO FINALE
Con The Elder Scrolls V: Skyrimi ragazzi di Bethesda riprendono la consolidata formula videoludica di Morrowind per superare le critiche rivolte a Oblivion e dare vita a un progetto titanico destinato a scrivere una pagina importante della storia dei giochi di ruolo.
Oltre ogni problematica relativa alla presenza di una trama che si perde in mille rivoli con compiti e missioni secondarie proposteci senza soluzione di continuità, Skyrim risulta essere un emozionante e continuo flusso di eventi che catapultano il giocatore al centro della scena. Un capolavoro che consente a tutti noi di vivere un’esperienza straordinariamente ricca ma al tempo stesso immediata e accessibile.
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The Elder Scrolls V: Skyrim – galleria immagini
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