L’abbiamo atteso per anni, lo abbiamo evocato più e più volte attraverso una serie innumerevole di interviste con gli sviluppatori e di anteprime, si è divertito a fissare il giorno in cui l’avremmo riabbracciato per poi rimandare malignamente l’appuntamento dileguandosi nell’ombra come solo lui è in grado di fare, ma adesso, finalmente, il valzer di rinvii è giunto alla sua conclusione: Sam Fisher è tornato, e nulla sarà più come prima.
Quasi a seguire ironicamente le drammatiche vicende narrate in Splinter Cell: Double Agent, lo sviluppo di Conviction ha subito un lungo e travagliato periodo di gestazione per la categorica necessità dei ragazzi di Ubisoft Montreal di svecchiare le meccaniche della serie dando nuova linfa vitale alla giocabilità e cercando, al tempo stesso, di non tradire la fiducia e i gusti degli appassionati che seguono tanecemente la saga di Sam Fisher proprio per la sua rarissima capacità di fondere magnificamente una trama di stampo cinematografico ad un’esperienza videoludica tutta propria.
Proviamo allora a scoprire assieme cosa ha davvero da offrirci quel vecchio lupo di mare di Fisher attraverso la recensione di Splinter Cell: Conviction.
UN UOMO E LE SUE CONVINZIONI
Come un immenso romanzo d’avventura che riesce a reinventarsi ad ogni pagina capovolgendo le convinzioni che avevamo fino a quel momento sul personaggio e sugli eventi che gli gravitano attorno, Splinter Cell: Conviction riprende il filo narrativo del capitolo precedente della serie per offrircene un punto di vista completamente diverso, con cui poi bisogna fare immediatamente i conti senza lasciarci un attimo di respiro per pensare a cosa ci sta succedendo. Dal punto di vista squisitamente narrativo, con Conviction Tom Clancy ha compiuto un vero e proprio capolavoro di stile e di contenuto che riesce ad essere perfettamente godibile anche per chi non ha mai avuto l’opportunità di vestire i panni dell’agente segreto più amato dagli sviluppatori di Ubisoft.
Nonostante il titolo sia narrativamente distante da Double Agent di diversi anni, il macigno che ha colpito psicologicamente Sam Fisher in quell’occasione (la morte della figlia Sarah, l’uscita dagli Splinter Cell e l’uccisione del suo migliore amico, Irving Lambert) lo ha reso mentalmente ed emotivamente instabile, tanto che nel corso dell’avventura saremo più volte costretti a rivivere in flashback degli eventi che ci permetteranno di aggiungere di volta in volta un ulteriore tassello all’intricato mosaico che divide Sam da una scomoda verità: le alte sfere di Third Echelon, la più importante agenzia segreta privata del mondo, cercando di destabilizzare il governo degli Stati Uniti proveranno in tutti i modi a ridurre al silenzio Fisher, incolpandolo ingiustamente dell’uccisione della figlia e braccandolo per evitare che scopra i loschi piani dei suoi ex datori di lavoro.
È qui, in questo preciso momento che prendiamo ufficialmente “servizio” al fianco di Sam per guidarlo, assieme ad una ristrettissima cerchia di amici (il compagno d’armi ai tempi dell’Iraq Victor Cole e la collega che ha guidato le sue mosse ai tempi degli Splinter Cell, Grim), a sciogliere definitivamente i nodi che intrecciano la sua vita a quella di Third Echelon.
CHI HA PAURA DEL BUIO?
Piuttosto che cercare di reinventare la vecchia formula stealth della serie di Splinter Cell, con Conviction i ragazzi di Ubisoft Montreal hanno preferito ampliare il tutto mediante l’aggiunta, più o meno logica, di meccaniche di gioco completamente diverse dalla “filosofia” che ha accompagnato in passato le azioni di Sam Fischer: superato ogni “vincolo contrattuale” imposto da Third Echelon con le missioni affibbiategli nel corso di questi anni, il buon vecchio Sam può ora permettersi di sfogare liberamente la sua sete vendicativa contro il nemico di turno scegliendo di ucciderlo silenziosamente o meno basandosi esclusivamente su fattori di gusto (o di opportunità) personali.
Sin dal primo livello della campagna in singolo (una fuga al cardiopalma tra le vie di La Valletta, a Malta, seguita da una “caccia al topo” in un palazzo difeso da guardie pesantemente armate) potremo infatti mettere in pratica liberamente, e senza alcun tipo di ripercussione sugli obiettivi sensibili della missione, tutte le tecniche di combattimento apprese in decenni di onorato servizio come agente segreto infiltrato.
Un sistema di gioco così strutturato, oltre che ad ampliare a dismisura la longevità e la rigiocabilità del titolo, riesce inoltre a raggiungere livelli d’assoluta eccellenza attraverso uno dei marchi di fabbrica della saga, ossia la profonda varietà delle missioni proposteci dagli sviluppatori: nonostante il pallino dell’iniziativa spetti sempre a noi, ogni singola missione è così tremendamente diversa dalle altre che è praticamente impossibile decidere a priori come andremo ad agire sul campo senza un minimo di pianificazione, pena una prematura ed incontrovertibile morte (resa ancora più dolorosa dalla lontananza abissale tra i vari punti di salvataggio automatici). Trova così magnificamente risposta una delle domande più pressanti poste in questi lunghi anni dagli appassionati della saga ai ragazzi di Ubisoft Montreal, ossia se la “svolta action” di Conviction avrebbe snaturato “l’anima stealth” di Splinter Cell, che poi ha da sempre rappresentato il motore propulsivo della creatività e della caratterizzazione della serie.
I cambiamenti apportati alle meccaniche storiche della saga (e persino al modo in cui esse riuscivano a rapportarsi al fluire della narrazione) sono però così tanti che a farne maggiormente le spese è la giocabilità, che così facendo perde buona parte della componente simulativa in ragione dell’immediatezza. In Conviction, infatti, buona parte delle azioni più delicate di infiltrazione e di combattimento possono essere gestite dall’interfaccia di gioco con una semplicità a dir poco spiazzante: per avere la certezza di aver trovato un buon nascondiglio nell’ombra, ad esempio, basta solamente seguire visivamente il cambiamento della palette cromatica dei colori su schermo, senza parlare poi del visore ad infrarossi che trapassa i muri e rende praticamente inutile l’utilizzo dello specchietto per sbirciare dietro le porte, delle pistole che hanno inspiegabilmente un munizionamento infinito e, infine, degli interrogatori di fine livello su cui non abbiamo assolutamente alcun controllo (se non quello sul mobile o sull’elettrodomestico dove far sbattere brutalmente la testa del malcapitato di turno).
MULTIPLAYER: IL TRIONFO DELLA COOPERATIVA
A risollevare le sorti di Splinter Cell: Conviction, anche e soprattutto dal punto di vista della giocabilità spicciola, ci pensa però l’incredibile ventaglio di opzioni attuabili in multigiocatore. Completamente differente dalla campagna in singolo per quanto riguarda le ambientazioni, la storia ed i personaggi interpretabili, la componente cooperativa si situa cronologicamente a metà strada da Double Agent e Conviction e permette al videogiocatore di vestire i panni di Archer, un’agente segreto al soldo di Third Echelon, o in alternativa del compagno Kestrel, una spia russa ugualmente addestrata all’infiltrazione silenziosa, per sventare un giro illegale di armi di distruzione di massa prima che raggiungano il mercato nero e, di conseguenza, le mani della cellula terroristica di turno.
Nelle quattro missioni che compongono la mini-storia cooperativa (ognuna mediamente più longeva e varia rispetto alle controparti in singolo), si ha così l’opportunità di rivivere le emozioni dei capitoli precedenti della saga portando a termine compiti prestabiliti con l’obbligo, quasi sempre categorico, di uccidere le guardie nemiche (o di stordire i poliziotti) senza che gli altri si accorgano della nostra presenza: una volta scattato l’allarme, infatti, in gran parte dei casi la missione è compromessa.
Se tutto questo non vi basta, potete sempre intraprendere in Rete, o insieme ad un amico in split-screen, una delle tre tipologie di Operazioni Speciali (per un totale di sei mappe), ossia “Cacciatore” (dove l’unico obiettivo è quello di uccidere il maggior numero di nemici in un periodo di tempo prestabilito), “Scontro Finale” (l’unica modalità propriamente competitiva dove bisogna uccidere l’avversario online) ed “Ultimo Uomo” (dove bisogna difendere una testata ad impulsi elettromagnetici da ondate sempre crescenti di nemici).
Approfittiamo di questa occasione per menzionare l’ottimo sistema di potenziamento del personaggio e del proprio armamentario sia in singolo che in multi: una volta portato a termine un particolare tipo di movimento (ad esempio scappando efficacemente da una posizione in cui si è stati scoperti) o di azione delittuosa (uccidendo ad esempio un numero prestabilito di nemici piombandogli addosso dall’alto), si guadagnano “punti esperienza” spendibili liberamente in accessori per la propria arma preferita o, in alternativa, in miglioramenti per la divisa del proprio alter-ego utilizzato nelle partite multigiocatore.
GRAFICA E SONORO
Il comparto grafico di Conviction, esattamente come la giocabilità, viaggia in parallelo sul doppio binario dell’eccellenza e della mediocrità: nel primo caso possiamo certamente annoverare le animazioni di Fisher, di Kestrel e di Archer, la meravigliosa realizzazione artistica degli interni, gli effetti particellari nel loro complesso, l’integrazione dell’interfaccia alle meccaniche di gioco e l’intelligenza artificiale dei nemici, mentre nel secondo caso, nostro malgrado, non possiamo esimerci dal giudicare assolutamente insufficiente il lavoro svolto con l’aspetto grafico degli intermezzi filmati e delle ambientazioni esterne (il cielo è rimasto alla passata generazione di console), con le animazioni e la caratterizzazione delle guardie, con la pessima implementazione del sistema di gestione cromatica nelle fasi stealth e, dulcis in fundo, con il fastidiosissimo problema di tearing (un artefatto che “spezza” letteralmente l’immagine a schermo in due o più fasce orizzontali).
Assolutamente impeccabile e senza sbavature degne di nota è invece la realizzazione della componente sonora: all’altissimo livello qualitativo del doppiaggio italiano va sommato l’incredibile lavoro svolto dai ragazzi di Ubisoft Montreal nel contestualizzare i dialoghi delle guardie al nostro comportamento sul campo (sfottendoci se ci nascondiamo con eccessiva frequenza o insultandoci per aver ucciso un loro compagno d’armi in una delle precedenti missioni svolte). L’unica critica che potremmo muovere in tal senso è quella riguardante la “piattezza” della colonna sonora, anche se comprendiamo perfettamente i motivi che hanno spinto gli sviluppatori a non appesantire troppo questo aspetto (anche perchè, nelle fasi delicate di un’infiltrazione nelle missioni in cui si è sprovvisti di visore trinoculare, potrete pianificare l’attacco individuando i nemici solo ed esclusivamente dal flebile rumore che produrranno in lontananza).
COMMENTO FINALE
Sono davvero poche le occasioni in cui un videogioco riesce a spiazzarci a tal punto da non permetterci di concludere la recensione con un giudizio che, complessivamente, indichi se sia riuscito o meno a soddisfare le richieste del videogiocatore finale: a detta degli stessi sviluppatori di Ubisoft Montreal, negli anni di gestazione di questo ultimo ed attesissimo capitolo della saga di Splinter Cell ci sono stati molteplici cambi di rotta, così come si può evincere dalla natura estremamente eterogenea e frastagliata del titolo che ha raggiunto in questi giorni i negozi.
Non tutto il male viene però per nuocere: chi ci assicura, infatti, che la commercializzazione anticipata e la scelta di meccaniche di gioco diverse avrebbero sicuramente giovato alla causa? E chi è disposto ad affermare che sarebbe stato meglio snaturare la saga con un’idea mal congegnata, piuttosto che ricominciare tutto daccapo e rinnovare la granitica impalcatura della serie con tante, piccole idee innovatrici?
Per questo, e per tutte le ragioni che vi abbiamo descritto pocanzi, consigliamo caldamente a tutti gli utenti PC ed Xbox 360 di considerare con serietà l’acquisto di Splinter Cell: Conviction, perchè potrà anche non essere il capitolo migliore della serie (Chaos Theory era e rimane un punto di riferimento quasi inarrivabile), ma di certo è il più completo, sia per la capacità con cui è riuscito a sintetizzare l’adrenalinica narrazione dei suoi predecessori che, soprattutto, per l’incredibile mix di elementi di gioco che tutti gli amanti della serie avrebbero voluto vedere insieme in un singolo titolo, dalla mastodontica modalità multigiocatore alla spettacolare libertà d’azione e di movimento nella campagna in singolo e nelle missioni in cooperativa (che acquistano un’insolita ed insperata longevità se intraprese al massimo livello di difficoltà).
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