Ci sono episodi importanti nella storia di qualsiasi medium che spesso non vengono compresi. Anzi, non vi è quasi nessuna reale innovazione che non passi anzitutto dall’essere recepita come una misura apparentemente fine a sé stessa. Ci pare che, in tal senso, il caso di Wii Street U risulti piuttosto emblematico.
Nessuno potrà capire come e perché dovremmo tener d’occhio questa semplice applicazione, se prima non si immerge in un discorso ben più ampio, trascendente le logiche del mero “videogioco di consumo”. Una buona parte dei giapponesi addentro a questo universo sembra averlo capito; non a caso pare che da ieri, giorno in cui Wii Street U è disponibile al download, il fenomeno stia prendendo piede in maniera tutt’altro che irrilevante. Scaricabile gratuitamente fino a Maggio in Sol Levante, non si conosce ancora nulla in merito al suo destino dalle nostre parti.
Ma di cosa si tratta? E perché spendere più delle solite poche parole a riguardo? Saremo brevi, certo, sia perché non abbiamo avuto ahinoi modo di testare il prodotto, sia perché imbastire una discussione così corposa richiederebbe del tempo che contiamo di dedicare allorquando potremo scrivere con maggiore cognizione di causa. Intanto, giusto qualche pensiero buttato sul tavolo del confronto.
Che Wii Street U non rappresenti un’innovazione tout court è ammissibile. D’altronde parliamo di un’applicazione che, in larga parte, si basa su Street View di Google. Attraverso questa partnership, Nintendo sta però tentando di dare una leggera spinta a quel futuro che oramai riusciamo a scorgere, ma che timidamente continua a sottrarsi al nostro sguardo.
Sul funzionamento, potete dare un’occhiata ai due filmati che accompagnano il presente articolo – specie il secondo, una sorta di hands-on video pubblicato da Nintendomination. Su tutti, tale applicazione sottopone con una certa urgenza il concetto alla base del non meglio precisato (per noi) fenomeno di ludicizzazione del reale (o quotidiano). In questo caso il tutto si traduce in una sorta di viaggio mediato, non semplicemente da uno schermo, bensì da un’intero impianto videoludico.
Wii U, nel caso di specie, si presta in tutto e per tutto a questo “nuovo” modo di intendere la cartografia ai giorni nostri, dandoci l’opportunità di servirci appieno del suo sistema di controllo (GamePad in primis) per scorrazzare all’interno (in esterni) di ambientazioni reali ma riprodotti.
Immaginate di voler visitare la periferia di una famosa capitale, muovendovi più o meno liberamente all’interno di uno spazio enorme seppur strutturalmente delimitato. È un po’ il concetto alla base del free-roaming, qui spinto alle estreme conseguenze, che lo vogliono inevitabilmente fine a stesso – passeggiare per passeggiare, niente di più niente di meno. Col definitivo sdoganamento dell’open-world, ad opera di Rockstar grazie a GTA III, da quel 2001 non si è fatto altro che aggrapparsi a capacità di calcolo sempre più elevate, ciucciandone fino allo stremo per amore di ricreare ambienti immensi, vivi e quanto più accessibili. Ed il fenomeno ha più di qualche affinità con ciò di cui stiamo discutendo oggi, dato che è cosa nota il metodo di lavoro da parte della compagnia newyorkese, sempre pronta a sguinzagliare i propri fotografi urbanistici nelle città che, in un secondo momento, divengono sede del successivo capitolo di Grand Theft Auto.
Tornando a noi, dunque, non si tratta della prima, né dell’unica, né della più sorprendente delle trovate in ambito di ludicizzazione del reale, certo. Pensiamo a Gigwalk, App che fece molto parlare di sé fino a qualche tempo fa, permettendo di accumulare soldi veri, portando a termine obiettivi altrettanto reali: il tutto solo ed esclusivamente gironzolando per le vie della propria città (poche quelle “attive”). Dato uno sguardo al blog di riferimento per approfondire.
E già immaginiamo di cosa possa essere prodromo tutto ciò, genuinamente basandoci sulle prime avvisaglie. C’è chi, non a torto, allude all’integrazione della realtà virtuale, mentre magari (ci permettiamo di aggiungere noi) potremo passeggiare su una sorta di tapis roulant collegato alla console/TV/computer, perdendoci tra le vie di Shibuya prima e quelle di Manhattan poi, passando per le Highlands scozzesi: tempo di percorrenza 30 minuti in totale.
A suo tempo si potrà e si dovrà ragionare su come e quanto un’esperienza di questo tipo incida sul grado di percezione dell’uomo, sballottato da una zona all’altra del mondo in maniera così netta e repentina, a mo’ di teletrasporto. Ecco, proprio di questo si tratta: teletrasportarsi. In attesa di conoscere dagli scienziati se e come sarà possibile trasferire la materia da un luogo ad un altro, la tecnologia aggira le inaccessibilità del momento, facendoci anzitutto viaggiare mediante quella tanto bistratta capacità che è la vista. Chissà se il Kubrick di 2001: Odissea nello Spazio (anche alla luce di quanto scritto sopra, pare che tale anno dovesse essere una sorta di spartiacque) osò anche solo sperare così tanto. Saremo noi i nuovi Bowman: solo che prima di raggiungere Giove ci faremo un quantomai rapido “ripasso” del nostro di pianeta.