La recente prova del demo di Fahrenheit mi ha fatto un po’ ragionare sullo stato della narrazione videludica, e vorrei mettere la cosa per iscritto per vedere cosa ne pensate.
E’ un periodo in cui nei videogames regna la libertà. Libertà non solo di movimento. GTA permette di fare diversi tipi di nefandezze, ma anche di non farle. Farle ovviamente piace, ma non solo per l’aspetto liberatorio della cosa.
C’è un certo gusto in un videogame nel sentirsi senza costrizioni, liberi di girare e agire a proprio piacimento. Liberi di illudersi di avere delle scelte, anche.
E non sono pochi quelli che quando sono frustrati o annoiati dalle missioni di Grand Theft Auto decidono semplicemente di andare a farsi un giro per le strade di San Andreas o di Vice City.
La libertà piace, e vende molto bene. A parte qualche caso isolato (Postal 2 e altri meno clamorosi) i giochi che offrono molte possibilità di scelta e di movimento sono stati bene accolti dalla critica e dal pubblico. Offrono senz’altro più possibilità, e una rigiocabilità praticamente infinita: non dimentichiamocelo, ancora oggi c’è gente che continua a giocare e ad amare giochi come Elite o Battlecruiser.
Nella narrazione di una storia, però, io credo che la libertà sia paradossalmente una costrizione, e non da poco. Il problema non è tanto il riuscire a raccontare una storia ambientata in un mondo virtuale libero (gli sceneggiatori di Morrowind o Fallout – ad esempio – ci sono riusciti benissimo) quanto più il fatto che un videogioco che vuole diventare adulto e (perchè no) autoriale, non può non interrogarsi su stesso e sulla sua struttura.
Così come il cinema da sempre si interroga sui meccanismi della visione, il videogioco deve interrogarsi su quelli della scelta.
Due esempi in tal senso, sono sicuramente la saga di Max Payne e Metal Gear Solid 2.
I protagonisti sono dei veri e propri burattini, e ci viene ricordato spesso in maniera più o meno sottile. Nel primo Max Payne – addirittura – Payne sogna di essere il protagonista di un videogame, in un caso più unico che raro di scena metavideoludica.
Si viene a creare un legame molto particolare tra noi ed il nostro personaggio. Noi siamo Max Payne, non lo stiamo controllando. Non fatevi ingannare dalla prospettiva in terza persona. I due giochi sono una interminabile soggettiva. Noi percepiamo la realtà con gli occhi di Payne. Noi vediamo la realtà deformarsi e prendere pieghe strane, proprio come lui.
Allo stesso modo, la frantumazione del mondo di Kojima così come lo conosciamo nell’angosciante finale di Metal Gear Solid 2 ci sconvolge almeno quanto sconvolge i protagonisti. Il mondo creato dal regista giapponese non è poi troppo diverso dagli “universi che cadono a pezzi” di P.K. Dick.
La libertà è inganno, quella che gustiamo in giochi come Morrowind o GTA lo è anche di più. Giochi come MGS2 o Max Payne non fanno che ricordarcelo. Sconvolgendoci, perchè non siamo abituati a questo genere di cose. L’ultima ora di gioco di MGS2 ha la stessa forza di impatto che avevano un film di Kubrick, Lynch o di altri autori all’epoca della lora uscita: minano le nostre certezze. Non ci aspettavamo niente di tutto questo, e siamo lì a rivalutare tutto quello che abbiamo visto e sentito nel gioco, magari sentendoci ingannati o delusi dal.. colpo basso. L’universo si frantuma, e noi con lui.
Non so se giochi del genere hanno un futuro, mentre sono convinto che lo abbiano i giochi che ci illudono di essere liberi. Fornire immensi e bellissimi mondi sempre più complessi ai giocatori continuerà a piacere al pubblico e alla critica. Perchè continuiamo a considerare i videogiochi principalmente come svago, e i mondi liberi saranno sempre un’attrazione fortissima.
Quello che è certo è che il videogame sta vivendo una lenta e radicale trasformazione. E’ lo stesso mutamento che è avvenuto con il cinema, passato da intrattenimento popolare per le masse di Edison e i Lumiere in forma d’arte.
Il videogioco cresce. Aumentano i budget, migliorano le sceneggiature, il doppiaggio, la scrittura. Non è un fenomeno che si può fermare. Ma per raccontare le loro storie, che strada sceglierano gli autori del futuro?
Ci renderanno felici uomini liberi o depressi burattini?