Con quei suoi improvvisi cambi di ritmo, con quella straordinaria capacità di rapire l’attenzione dello spettatore trascinandolo in una dimensione parallela paurosa ed estraniante, con quel modo dannatamente crudele di interpretare videoludicamente gli scontri a fuoco per rappresentarli in tutta la loro crudezza, il primo capitolo della saga di F.E.A.R. è entrato di diritto nella storia degli sparatutto in prima persona.
Il suo seguito, sottotitolato giustamente Project Origin per porre l’accento sulle novità introdotte nel canovaccio narrativo steso dai Monolith, non ha saputo mantenere gli altissimi standard qualitativi del suo illustre predecessore ma, rimanendo saldamente ancorato a una struttura di gioco ormai rodata, ha preferito tracciare un solco ancor più profondo nella linea immaginaria che demarca questa serie dagli FPS concorrenti.
Premiata solo in parte dal pubblico e dalla critica, questa scelta ha così indotto le alte sfere di Warner Bros. ad affidare lo sviluppo del terzo capitolo ai ragazzi dei Day 1 Studios di Chicago nella speranza, così facendo, di ridare lustro e prestigio alla saga avente per protagonista assoluta la terribile Alma. Cerchiamo allora di sviscerare nel dettaglio tutte le caratteristiche salienti di F.3.A.R. (o F.E.A.R. 3 che dir si voglia) attraverso una recensione che, lo annunciamo sin da adesso, regalerà non poche sorprese.
LEGAMI DI SANGUE
Il rapporto di collaborazione stretto dai Day 1 con lo sceneggiatore Steve Niles (30 giorni di buio) e il regista John Carpenter (Halloween, La Cosa, Christine e solo per rimanere nel filone dei film del terrore) tradisce l’intenzione di Warner Bros. di dare alla loro nuova opera una trama horror altamente spettacolare e dal taglio squisitamente cinematografico: tale scelta, pur senza raggiungere le vette di eccellenza che potremmo attenderci da un progetto con un’attenzione così particolare alla storia, si riflette in tutta la sua evidenza sia nella giocabilità spicciola che nella progressione narrativa adottata dagli autori di F.3.A.R. per legarne le vicende a quelle dei due precedenti episodi.
Come in passato, infatti, il protagonista assoluto del titolo non sarà il personaggio (o meglio, i personaggi) che dovremo interpretare nel corso delle missioni proposteci dagli sviluppatori nella campagna singleplayer e in quella cooperativa, ma quel diavolo con le sembianze di ragazza che risponde al nome di Alma. Dopo essere riuscita a sopravvivere ai terribili esperimenti psichici della Armacham distruggendo, nella fuga, intere città e nugoli di soldati con la sola forza del suo pensiero, la “povera” Alma che incontreremo all’inizio dell’avventura sarà una giovane donna in procinto di dare alla luce il figlio concepito con Michael Becket al termine del primo capitolo della saga: gli uomini che continueranno a darle la caccia, quindi, dovranno vedersela con una madre estremamente protettiva e resa ancora più violenta dal dolore causatogli dal travaglio e dalla forza sovrumana dimostrata dal proprio dolce figlioletto.
È proprio in un simile, precario contesto che andremo ad inserirci interpretanto Point Man e suo fratello Paxton Fettel, ritornato in vita e ansioso di dimostrare al mondo quanto può essere distruttiva la volontà di un fantasma in grado di impossessarsi del corpo delle proprie vittime per utilizzarle come marionette al proprio servizio. Il nostro scopo, perciò, sarà quello di rintracciare Alma e di concludere una volta per tutte un inseguimento che negli anni passati non ha fatto altro che provocare morte e distruzione.
2011: FUGA DA ALMA
Nonostante gli intricati intrecci della trama ci inducano a pensare diversamente, la campagna a giocatore singolo corre come un treno lungo dei binari tracciati sin dalla breve ma intensa introduzione cinematica a cui dovremo assistere prima di indossare i sudici panni di un Point Man scampato a morte certa grazie all’intervento del suo astuto ed evanescente fratellino. Differentemente da Fettel, Point Man può fare affidamento solo sul suo innato istinto omicida, su un’agilità fuori dal comune e sulla sua esperienza maturata nel campo del combattimento corpo a corpo e delle armi da fuoco.
Se l’agilità e la reattività dei movimenti del nostro antieroe continuano ad essere rappresentati dagli eventi bullet-time (una costante imprescindibile della serie di F.E.A.R.), dal punto di vista squisitamente “omicidiario” il vecchio Point Man dimostra di essere in forma smagliante grazie alla presenza, nelle meccaniche di gioco escogitate dai Day 1 Studios, di un sistema molto veloce di coperture dinamiche: in maniera non troppo dissimile da quanto avviene in Killzone 3, infatti, all’interno dell’universo di gioco di F.3.A.R. basta la semplice pressione di un tasto per guadagnare un vantaggio tattico dai muri ad angolo e dalle tante coperture disseminate per la mappa, un sistema reso ancora più appassionante dalla possibilità di sporgersi per mirare con maggiore precisione o anche solo per individuare le truppe nemiche (appostate anch’esse per ostacolare la nostra visuale).
Questo specifico aspetto dell’opera trova un importante slancio nella varietà delle situazioni proposte, ad esempio con le battaglie a bordo dei mech o con le sessioni stealth in cui è necessario l’utilizzo del coltello: alle 7-8 ore di gioco necessarie per completare l’avventura principale bisogna poi sommare quelle, di certo non meno importanti, garantite dalla possibilità reimmergersi nelle missioni del singleplayer interpretando Paxton Fettel. Come abbiamo già accennato in precedenza, infatti, il controverso personaggio di Fettel differisce in maniera sostanziale da quello di Point Man per una serie di poteri soprannaturali garantitigli dalla sua condizione di “demone resuscitato”.
L’insolita esperienza di gioco nei panni di Fettel regala emozioni inattese e una sana dose di divertimento, minato (ma solo in parte) dalla balbettante intelligenza artificiale dei nemici che non riesce a gestire come dovrebbe delle tattiche di squadra complesse (se non per delle strategie di accerchiamento già viste nei due precedenti episodi della serie).
MULTIPLAYER
L’aspetto che più di ogni altro ha deluso gli acquirenti di Project Origin è stato senza ombra di dubbio il multiplayer: nella piena consapevolezza di ciò, quindi, dalle parti degli studi Day 1 hanno deciso di rimpiazzare completamente il modulo multigiocatore dell’episodio precedente della serie con delle modalità online gravitanti tutte attorno all’esperienza cooperativa.
Grazie ad una sorta di sala d’attesa “alla Halo Reach” integrata direttamente nel menù principale, ad esempio, ogni missione dell’avventura in singolo può essere intrapresa in compagnia di un secondo giocatore in Rete: alla bellezza incontestabile della co-op va così ad aggiungersi quella derivante dall’estrema differenziazione dello stile di gioco di Point Man e Paxton Fettel, elevando al quadrato il divertimento garantito dalle missioni vissute offline in singolo.
Se cerchiamo di sganciarci dalle vicende della narrazione principale, invece, troviamo altre quattro modalità aventi ognuna ben tre specifiche mappe (moderatamente ampie ma, ad essere sinceri, tristemente carenti in termini artistici e di level design). La prima di queste, e forse la più interessante, è stata appropriatamente intitolata “F****uta Corsa” dagli sviluppatori perchè vede una squadra di quattro soldati F.E.A.R. correre come matti lungo un corridoio pieno zeppo di nemici dell’Armacham comandati dalla CPU, il tutto nel tentativo disperato di allontanarsi il più possibile da una colonna di fumo assassino.
La modalità “Contrazioni”, invece, prende il meglio dell’Orda di Gears o War 2 e le sfide Nazi Zombie degli ultimi capitoli di Call of Duty per riproporle sottoforma di evento unico in cui un gruppo di giocatori (composto sempre da quattro utenti) deve sopravvivere a ondate crescenti di mostri materializzati da Alma durante le violente contrazioni del parto. In questo caso, l’unico slancio di originalità è dato dalla presenza dello spirito della stessa Alma che, aggirandosi per il livello, terrorizza chi ha la sfortuna di avvicinarla.
Chiudono l’offerta multiplayer di F.3.A.R., decisamente superiore a quella di Project Origin, le modalità complementari “Re delle Anime” e “Anima Sopravvissuta”: nel primo caso tutti i membri del gruppo impersonano ognuno uno spettro e cercano di prevalere sugli altri impossessandosi delle anime di soldati comandati dalla CPU, mentre nel secondo caso solo un giocatore incarna lo spettro e gli altri, a turno, devono cercare di abbatterlo prima che accumuli troppe anime.
GRAFICA E SONORO
Se dal punto di vista della narrazione il progetto si mantiene su un binario univoco e lo segue per tutta la durata dell’avventura, tecnicamente parlando F.3.A.R. si muove su due distinti percorsi artistici e questo lo si nota immediatamente. Se da un lato, infatti, il taglio dato dai Day 1 Studios alla loro opera regala un’atmosfera incredibile e dei momenti di puro terrore, dall’altro lato la predominanza assoluta delle fasi action su quelle, per così dire, da “thriller psicologico” viene ribadita dalla presenza di ambienti di gioco privi di mordente e incapaci di trasmettere sensazioni forti, se non tramite la violenza stessa delle azioni compiute nei panni dei due personaggi interpretabili.
L’assenza di modelli poligonali raffinati, di un sistema di illuminazione realistico, di animazioni convincenti e di texture ad alta definizione, inoltre, sono elementi da prendere in tremenda considerazione e che di certo non aiutano a creare quel contesto tenebroso necessario a sorreggere l’impalcatura di gioco e ad assecondare le nostre gesta videoludiche. Inutile girarci attorno: l’atmosfera del primo F.E.A.R. è lontana anni luce e la cura (seppur non maniacale) per i dettagli che ha contraddistinto Project Origin lo è altrettanto.
Di tutt’altro tenore risulta essere invece il lavoro compiuto dai ragazzi dei Day 1 Studios nel comparto audio in ogni sua componente: i pochi frangenti horror della campagna principale vengono magnificamente arricchiti da un concerto di urla strazianti e di grida disumane e la successione incalzante dei brani della colonna sonora esalta le sessioni thriller e gli scontri a fuoco. In tutto questo il doppiaggio italiano spicca per profondità interpretativa, a parte qualche piccolo ma evidente svarione testimoniato dagli inspiegabili “buchi” lasciati nei dialoghi di alcuni intermezzi filmati (che rimangono così in inglese)
COMMENTO FINALE
Nato per essere non solo il nuovo capitolo di una grande saga come quella di F.E.A.R. ma anche un felice e solido esperimento volto a regalare agli spettatori videogiocanti delle vere e proprie scariche d’adrenalina grazie alla presenza di numerose scene disturbanti e di una meccanica di gioco fluida e reattiva, F.3.A.R. risente invece di un’evidente mancanza di slanci di originalità e di innovazione che, in caso contrario, avrebbero portato il progetto a un livello superiore facendolo uscire dalla zona più affollata del sempre più sfruttato oceano degli sparatutto in prima persona.
Con nostro sommo dispiacere, infatti, la nuova opera degli studi Day 1 non stacca la concorrenza in alcun frangente (se non in quello della crudezza delle scene mostrate), abbandona del tutto l’atmosfera claustrofobica del capitolo originario e finisce malauguratamente col perdersi in un mare di ovvietà difficili da digerire dagli appassionati come dai neofiti: gli aspetti horror dell’opera vengono depressi da una mole spropositata di scontri a fuoco e di scene action, la struttura narrativa è troppo sfilacciata e il comparto tecnico (dalla fisica al level design) è palesemente insufficiente. L’unica salvezza è rappresentata dalla riuscita impalcatura multiplayer sorretta dalla cooperativa e dalla giocabilità complementare di Paxton Fettel e Point Man ma ciò non basta a migliorare una situazione che, come avrete capito leggendo questa recensione o provando da voi a inseguire in questi giorni quel diavolaccio di Alma, non è di certo delle più rosee.
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