L’industria dei videogiochi sforna centinaia di prodotti all’anno, le multinazionali del settore spingono per serializzare i progetti più apprezzati sperando di massimizzare i guadagni e gli sviluppatori si ritrovano costretti a fare i salti mortali pur di riuscire a conciliare le richieste di originalità degli appassionati con le naturali esigenze di profitto dei produttori.
Pur contribuendo ad aumentare il livello generale dei videogiochi, questa competitività perenne e spietata divide illogicamente i progetti ad alto budget dai lavori indipendenti e spacca il settore in due distinte categorie di titoli che, per loro natura, dovrebbero essere complementari: è forse questo il motivo per cui la maggior parte degli appassionati di lungo corso, in questo particolare periodo storico dell’industria videoludica, non riesce più a provare quelle forti emozioni che li portavano ad attendere con estrema speranza e fiducia l’uscita dei progetti più ambiziosi.
Di tutte le considerazioni che avremmo potuto fare per introdurre la recensione di Brink, questa ci è parsa la più adatta: negli ultimi anni, infatti, sono stati davvero pochi i titoli che come Brink hanno saputo calamitare in maniera così cristallina le attenzioni dei giocatori, sia per il valore indiscusso del team di sviluppatori impiegato da Bethesda per realizzarlo (gli inglesi di Splash Damage), sia ovviamente per l’atipica struttura di gioco descritta in questi mesi attraverso lunghe video-dimostrazioni ricche di particolari. Seguiteci dopo la pausa, quindi, per scoprire assieme a noi se ne è valsa davvero la pena.
UN’ARCA È PER SEMPRE
Con un brillante espediente narrativo, gli sviluppatori evitano di dare a Brink una collocazione cronologica fissa preferendo enfatizzare le azioni di gioco senza perdersi in inutili spiegazioni che, tanto, verranno comunque fornite nel corso dell’avventura principale: siamo infatti in un lontano futuro, e la società così come la conosciamo oggi è stata letteralmente spazzata via da un diluvio che ha colpito tutti i continenti come atto ultimo del riscaldamento globale.
L’ultima speranza del genere umano è però rappresentata da una struttura artificiale galleggiante conosciuta come Ark (chiaro riferimento al Noè biblico): costruita prima del cataclisma dai Paesi industrializzati per celebrare le proprie conquiste tecnologiche, quest’Arca alla deriva e la piattaforma energeticamente autosufficente su cui è edificata saranno il teatro dei violenti scontri tra le forze della Sicurezza e quelle della Resistenza: da un lato i soldati che sacrificheranno le loro vite pur di difendere quest’ultimo baluardo di civiltà, dall’altro i disperati sopravvissuti alla catastrofe che tenteranno di sfuggire alla fame e alla disperazione di una vita passata all’interno delle enormi bidonville periferiche di Ark.
All’interno dell’universo narrativo di Brink, quindi, lo spesso filo che divide i “buoni” dai “cattivi” s’attorciglia annodandosi in una sorta di gomitolo gigante che ha come epicentro le scelte degli utenti: come insegna la lunghissima tradizione ruolistica di Bethesda, infatti, in Brink la possibilità di decidere quale fazione interpretare non si traduce mai in una sterile scelta fine a se stessa, ma al contrario ha come scopo ultimo quello di regalare all’utente l’opportunità di interpretare una parte in una storia scritta da lui, con le sue azioni, nel corso dell’avventura.
Va da sé, perciò, che se da un lato la struttura aperta della trama porta il titolo ad avere una longevità mostruosamente superiore a quella degli sparatutto concorrenti, dall’altro lato l’assenza di una campagna principale vera e propria non consente ai ragazzi di Splash Damage di sviluppare una narrazione solida e rischia di lasciare insoddisfatti coloro che, al contrario, preferiscono seguire videoludicamente delle storie che hanno un inizio e una fine ben delineati. Come spiegatovi in precedenza, però, la peculiarità principale di Brink non è tanto la sua trama, quanto piuttosto il modo in cui viene raccontata, ossia attraverso le azioni compiute sul campo di battaglia.
COMBATTERE PER SOPRAVVIVERE
Il magnifico editor con cui veniamo accolti una volta inserito per la prima volta il disco di gioco nel tray della console (o dopo averlo installato su PC) racchiude in sé lo spirito della saga e rappresenta un microcosmo che riassume alla perfezione l’essenza del progetto: oltre alla fazione principale interpretata dal proprio alter-ego virtuale, con l’editor possiamo infatti plasmare le fattezze, il vestiario, le abilità e l’armamentario del personaggio modificando una serie di parametri che, nel loro insieme, offrono infinite varianti sia estetiche che funzionali (il numero di personaggi unici creabili con l’editor, considerando tutti i fattori, raggiunge e supera i 100 milioni di miliardi).
Per ovvie necessità “logistiche” relative alla presenza fissa della modalità multiplayer (di cui ci occuperemo approfonditamente nel prossimo capitolo di questa recensione), la scelta iniziale della fazione principale interpretata dal proprio eroe non pregiudica affatto la possibilità di adempiere alle missioni della campagna affidate alla fazione opposta: le missioni compiute dalla Resistenza e dalla Sicurezza nell’avventura principale, infatti, sono “specchiate” e danno la possibilità agli utenti di sviscerare la trama da entrambi i punti di vista (sbloccando i relativi finali con apposito intermezzo filmato).
Concettualmente diverse dalle azioni compiute nella campagna a giocatore singolo degli FPS sfornati dalla concorrenza, le missioni di Brink (siano esse in singolo o in multiplayer) si dipanano in obiettivi principali e secondari portabili a termine utilizzando le abilità specifiche delle quattro classi personaggio proposte: in base all’obiettivo scelto si potrà quindi diventare dei Soldati per piazzare bombe su ponti e ostacoli di vario genere, dei Tecnici per riparare robot o postazioni sensibili (i comandi di una gru, un nido di mitragliatrice), dei Medici per assistere ostaggi e compagni di squadra o degli Agenti per violare importanti terminali o delle torrette nemiche.
A tutto questo bisogna poi aggiungere la grande scelta di abilità e di potenziamenti per le armi, entrambi sbloccabili nel tempo conseguendo gradi e livelli sempre più alti o riuscendo a superare i round di apposite sfide create dagli Splash Damage per evidenziare le peculiarità dell’impianto di gioco e dell’adrenalinico sistema di movimento: ispirandosi alla disciplina metropolitana del parkour, gli sviluppatori inglesi permettono agli utenti di selezionare all’interno dell’editor ben tre diverse tipologie di corporatura, ognuna delle quali rispondente ad uno specifico livello di agilità, di velocità e di resistenza ai colpi.
Quest’importante aggiunta, evocata più dagli appassionati che dagli stessi sviluppatori, innalza ulteriormente il tasso di sfida e il livello di personalizzazione nonostante sia una caratteristica accessoria che, alla luce del lavoro compiuto dagli Splash Damage in altri ambiti dell’opera (basti citare il multiplayer), non rappresenta un’aggiunta fondamentale.
MULTIPLAYER
Cuore pulsante dell’intero progetto, il multiplayer di Brink non si esprime con delle semplici modalità a se stanti ma va a fondersi con tutte gli aspetti dell’opera, dai più insignificanti a quelli maggiormente visibili: ogni singola riga di codice scritta dagli Splash Damage richiama alla condivisione, ogni punto di sbavatura delle modalità in singolo trova risposta in questa nuova collocazione “sociale”, ogni esperienza vissuta online diventa una pennellata che illumina le missioni della campagna con tonalità sempre diverse di colori.
Nonostante la sopraffina intelligenza artificiale dei nemici e dei propri compagni di squadra nelle sessioni offline (anche in questo caso, tremendamente superiore a quella che governa gli sparatutto analoghi), in rete il caleidoscopio di approcci con cui gli utenti decidono di intraprendere le missioni trasforma Brink in una sorta di universo inesplorato che, col passare del tempo, si modifica in maniera plastica senza mai offrire punti di riferimento certi a cui aggrapparsi.
Provare a “studiare” le singole mappe giocandole per decine di volte di seguito è un esercizio inutile: pur conoscendo a menadito la posizione degli obiettivi e delle aree sensibili, l’unica tattica che può definirsi davvero vincente nel mondo di Brink è quella che vede i protagonisti della stessa squadra collaborare gli uni con gli altri per non lasciare alcuno spiraglio di risposta alla fazione avversa.
Le mappe messeci a disposizione dagli Splash Damage, inoltre, pur essendo numericamente inferiori a quelle garantite dagli FPS analoghi offrono però una serie davvero ampia di opzioni tattiche attuabili sia in base alla classe scelta (aprendo varchi laterali con gli esplosivi dei soldati o gli strumenti di decrittazione degli agenti), sia naturalmente all’agilità del nostro personaggio (chi sceglierà la corporatura snella, ad esempio, potrà impiegare le proprie doti nel parkour per scavalcare ostacoli alti e raggiungere aree altrimenti inaccessibili).
Nel momento in cui scriviamo, il numero di utenti online non è quasi mai sufficente a garantire sessioni di gioco “piene” con 16 utenti collegati (due squadre da otto): l’IA dei nemici comandati dal computer è comunque abbastanza raffinata da consentire un altissimo livello di sfida, e ciò ci lascia ben sperare per il successo di questa specifica modalità per quando il titolo raggiungerà finalmente i negozi.
GRAFICA E SONORO
Sorretto da una versione pesantemente modificata del motore grafico id Tech 4, il comparto tecnico di Brink garantisce una mole poligonale e un uso intensivo dei filtri grafici che fino a qualche anno fa sarebbe stato impensabile per le console ad alta definizione: grazie anche all’aiuto di Bethesda, gli sviluppatori inglesi di Splash Damage hanno saputo creare un mondo di gioco incredibilmente realistico e al tempo stesso inusuale, specie se consideriamo l’aspetto super deformed dei personaggi e la foggia simil-cartoonesca del loro vestiario.
Grandissima attenzione è stata poi riposta alle animazioni e alla varietà di movimenti eseguibili dai membri della Resistenza e dalle forze di Sicurezza di Ark, minate solo in parte da delle evidenti sbavature nell’impostazione dei salti, delle collisioni negli scontri corpo a corpo e nelle fasi di “caduta” (quando cioè si viene atterrati e si rimane in attesa di ricevere soccorsi da un volenteroso Medico). Meno fastidioso, ma comunque presente, è infine il ritardo nel caricamento delle texture e delle geometrie di gioco nelle fasi d’ingresso in una partita o all’inizio dei filmati gestiti dal motore grafico.
La cura maniacale nella rappresentazione delle ambientazioni e della sobria interfaccia di gioco, purtroppo, non la ritroviamo nemmeno nel lavoro compiuto dagli sviluppatori sul comparto sonoro: all’estrema varietà dei campionamenti audio delle armi fanno infatti da contraltare la precaria colonna sonora e, soprattutto, la scarsa qualità del doppiaggio in italiano (inespressivo quanto quello inglese, a dire il vero).
COMMENTO FINALE
All’inizio di questa recensione ci siamo chiesti se ne è valsa davvero la pena aspettare speranzosi l’uscita di Brink: dopo aver tentato di analizzare nel dettaglio gli aspetti più importanti di quest’ultima opera targata Bethesda e Splash Damage, la nostra risposta a quel quesito non può che essere affermativa.
Arricchita dalle classi che conferiscono al tutto un tenore tattico-strategico irraggiungibile dagli sparatutto “classici”, potenziata dalla presenza di un titanico editor e da un ventaglio altrettanto ampio di abilità e potenziamenti, dotata di una personalità unica conferitagli dalla varietà del multiplayer e dall’agile sistema di movimento, l’esperienza di gioco di Brink risulta essere una delle più complete di questa generazione, macchiata solo in parte dall’oggettiva assenza di una trama propriamente detta e da un comparto tecnico (e sonoro) di certo migliorabile.
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