Uno dei momenti più attesi dalla platea videoludica di questo primo spicchio d’anno è finalmente giunto: dopo essersi affidati all’estro creativo (leggasi “alla motosega sanguinante”) di quel pazzo visionario che risponde al nome di Cliff Bleszinski, i ragazzi della casa di sviluppo polacca di People Can Fly sono infatti lieti di condividere con noi il piacere della commercializzazione di Bulletstorm, la loro nuova creatura a metà strada tra un simulatore di macelleria e un action in prima persona avente per protagonista uno yeti bombarolo.
Dal suo annuncio, avvenuto nei primi mesi del 2010 come frutto dell’atipica collaborazione tra Epic Games ed Electronic Arts, il progetto ha da subito attirato da un lato le attenzioni degli appassionati di sparatutto desiderosi di sganciarsi dai soliti cloni di Call of Duty e, dall’altro lato, le aspre critiche di chi si è scagliato contro la sua natura dichiaratamente “estrema”: il papà di Gears of War e il team da lui capitanato hanno infatti deciso di svecchiare il vituperato genere degli FPS scegliendo la strada più ardita, ossia utilizzando la violenza come elemento cardine dell’esperienza visiva e squisitamente ludica, accompagnando il tutto da dialoghi scurrili come non mai e, soprattutto, da combattimenti così pacchianamente crudeli da sembrare persino ironici.
Per questo, e per tanti altri motivi che andremo ad analizzare nel prosieguo di questa recensione, vale la pena capire se con Bulletstorm quel volpone di CliffyB riuscirà nell’impresa di scrollarsi di dosso i durissimi giudizi etici della critica dei media generalisti attraverso un prodotto che, nelle intenzioni del suo ideatore, dovrebbe essere in grado di “divertire” prima ancora di “scandalizzare”.
ASSASSINI, TRADITORI E MERCENARI
La dimensione narrativa di Bulletstorm si muove cronologicamente a diverse centinaia di anni di distanza dalla nostra linea temporale: il ventiseiesimo secolo descritto dalla sussidiaria polacca di Epic Games celebra le fortissime contraddizioni della razza umana e le proietta in un universo che, seppur tecnologicamente avanzatissimo, è pur sempre governato da persone con la stessa becera logica personalistica dei potenti di oggi,
È in un simile contesto che si muove la Dead Echo, un’agenzia di sicurezza interplanetaria che, come una gigantesca piovra capace di raggiungere con i propri tentacoli ogni luogo della galassia, è stata fondata con il nobile scopo di mantenere la pace tra le varie colonie terrestri: la scintilla che fa scoccare l’incidente alla base del titolo ce la dà il generale Sarrano, l’autorità più influente della Dead Echo che, abusando dell’immenso potere derivatogli dalla carica, costringe una squadra di mercenari capitanata dall’esperto Grayson Hunt ad uccidere, con una scusa, un importante giornalista testimone dei crimini commessi dal loro comandante.
Accortisi in ritardo dell’inganno, il buon Gray e la sua squadra vengono assaliti dagli sgherri di Sarrano, riuscendo però ad aprirsi un varco tra le linee nemiche per scappare nelle profondità del cosmo con Ishi Sato, suo vecchio compagno d’avventure, e con pochi altri sopravvissuti: traditi dalla persona più importante della loro vita e macchiati ingiustamente dall’accusa di aver assassinato un civile, il nostro eroe e la sua ciurma decidono così di placare la loro sete di vendetta attaccando frontalmente la nave di Sarrano, la gigantesca Ulysses, costringendola ad un atterraggio di emergenza sul vicino Stygia, il pianeta-prigione situato ai margini estremi della Via Lattea in cui saremo chiamati a comandare la sua squadra nel corso della turbolenta campagna in singolo.
UCCIDI CON STILE
Fatto il dovuto preambolo degli eventi cardine del Prologo di Bulletstorm, entriamo finalmente nel vivo dell’azione e cerchiamo di sviscerare ogni singolo particolare delle sanguinolente meccaniche di gioco escogitate da CliffyB e dal suo team per permetterci di vivere un’avventura al cardiopalma, spettacolarizzata in ogni suo aspetto e adrenalinica fino al midollo.
Dal punto di vista della giocabilità, infatti, Bulletstorm fa propria la filosofia del “kill with skill” e sviluppa le sparatorie (così come i combattimenti dalla corta distanza) da un punto di vista diametralmente opposto da quello a cui tutti siamo stati abituati nel corso della nostra “carriera videoludica”: in questo folle universo disegnato dagli autori di People Can Fly, ciò che conta non è il numero di nemici uccisi ma il modo stesso in cui decidiamo di mandarli all’altro mondo. E qui viene il bello: l’intera impalcatura su cui sono state erette la campagna in singolo e le altre modalità di gioco (di cui ci occuperemo nell’apposito capitolo del multiplayer), infatti, poggia su quel meraviglioso insieme di azioni rientranti tutte nella definizione di Tiri Abilità (detti anche “Skillshots”).
Come spiegatoci dagli sviluppatori durante questi lunghi mesi che ci hanno diviso dalla commercializzazione ufficiale di Bulletstorm, i Tiri Abilità sono quelle determinate azioni che dovremo compiere in battaglia per uccidere nel modo più originale possibile i nostri avversari: ad ogni Skillshot corrisponde un determinato punteggio che, gestito come fosse la moneta universal del gioco, ci permette di acquistare munizioni e potenziamenti per le nostre armi. I 135 Tiri Abilità realizzabili sono organizzati ordinatamente in cartelle consultabili in qualunque momento dal menù di pausa. Pur sembrando un elemento marginale dell’esperienza di gioco, il database risulta essere invece il piu formidabile degli strumenti messici a disposizione dagli sviluppatori: oltre che a catalogare gli Skillshots per genere e “rarita”, ci offre infatti un piccolo vademecum che ci spiega come fare per eseguirli e quanti punti è possibile ricavarne.
L’atipico approccio alle sparatorie scelto dagli sviluppatori viene enfatizzato dalla varietà delle armi messeci a disposizione e, soprattutto, dall’interazione di queste ultime con il Cappio, il calcio e la scivolata: proiettando un fascio di energia concentrata, il Cappio riesce ad afferrare a lunga distanza oggetti e nemici per rallentarne temporaneamente i movimenti come in una sorta di “sonno elettrico” che, sfruttato a nostro vantaggio, ci consente di eseguire Tiri Abilità complessi e particolarmente sanguinari (ad esempio friggendo gli avversari sulle grate elettrificate, impalandoli su un possente cactus o spappolandoli sul soffitto)
Come la glassa al cioccolato su una ciambella fumante, il Cappio ci rende i signori incontrastati di Stygia e contribuisce ad acuire la potenza stessa delle altre armi “classiche” (se possiamo definire “classico” un bazooka che lancia granate rimbalzanti o un fucile di precisione che spara proiettili dalla traiettoria gestibile in remoto): oltre che ad essere incredibilmente originali, tutte le armi da fuoco di Bulletstorm posseggono poi dei colpi speciali (definiti Tiri Caricati) che permettono di accedere a Tiri Abilità di classe superiore, senza contare ovviamente il volume mostruoso di danni arrecati in questo modo agli avversari su una scala maggiore rispetto a quella consentita dai tiri “normali”.
La straordinaria libertà d’azione e di movimento concessaci dagli sviluppatori ha però i suoi aspetti negativi: l’intelligenza artificiale dei nemici, ad esempio, pur donando un diverso carattere alle varie “classi” di avversari che dovremo fronteggiare non sembra essere in grado di rispondere adeguatamente alle nostre azioni, limitandosi ad eseguire eventi scriptati e ciclici con una ripetitività disarmante. Meno severo è poi il giudizio sulla cadenza degli scontri (frequenti, certo, ma non abbastanza da evitare piccoli ma fastidiosi vuoti d’azione difficilmente spiegabili nell’economica di gioco generale) e sulla mancata implementazione della modalità cooperativa nella campagna principale, giustificata però dai ragazzi di People Can Fly con la necessità di mantenere un determinato ritmo per non pregiudicare in alcun modo la longevità (che, ai livelli di difficoltà più elevati, raggiunge e supera abbondantemente le 7-8 ore) e, in misura minore, la coerenza nella narrazione degli eventi (specie in relazione alla storia di Ishi Sato).
MULTIPLAYER
Seppur privato della sua essenza cooperativa nella campagna principale, il cuore pulsante dell’anima multigiocatore di Bulletstorm continua a battere tra le sessioni Echo ed Anarchia per prolungare a dismisura le ore di divertimento adrenalinico del singleplayer ed offrire, al contempo, un’esperienza inedita e complementare.
Solo marginalmente legata all’online propriamente detto, la modalità Echo rielabora 14 mappe della Campagna (più altre 6 per chi è provvisto del Pass Online) sottoforma di veloci sessioni di gioco da dover superare entro un determinato periodo di tempo: il punteggio finale è un giudizio rappresentato in Stelle (per un numero massimo di tre per mappa) del punteggio accumulato con i Tiri Abilità. Tale punteggio confluisce automaticamente in una lista di statistiche che Epic Games gestisce e condivide con i nostri amici in lista, offrendoci così un pretesto più che valido per perfezionare il nostro “stile di combattimento” in previsione delle nostre scorribande nelle mappe della modalità Anarchia.
Un po’ come il Cappio energetico per la campagna, la modalità Anarchia rappresenta una sorta di “gioco nel gioco” e rielabora il concetto degli Skillshots per offrirci arene completamente inedite in cui dover combattere al fianco di altri tre utenti online contro ondate sempre crescenti di nemici: le analogie con l’Orda di Gears of War 2 iniziano e finiscono qui. Lo scopo principale dell’Anarchia non è infatti quello di salvare la pelle del nostro alter-ego digitale, ma di aiutarlo ad accumulare il maggior numero possibile di punti abilità stando fianco a fianco con i nostri compagni per uccidere gli avversari con fantasia: per rendere ancor più interessante e frenetica questa modalità, infatti, CliffyB e i suoi ragazzi hanno saggiamente deciso di legare il fattore di moltiplicazione dei punti guadagnati sia alla “qualità” della Skillshot eseguita che al numero di utenti che hanno contribuito all’uccisione, offrendoci così un pretesto più che valido per unirci ai restanti membri di squadra e lavorare come un vero e proprio team.
GRAFICA E SONORO
Mosso dall’ormai storico Unreal Engine 3, Bulletstorm offre un comparto grafico a dir poco eccelso: al livello qualitativamente stratosferico delle animazioni e del peculiare stile architettonico delle città, degli ambienti naturali e dei sotterranei di Stygia, fanno il paio i ricchi modelli poligonali delle armi e, soprattutto, i poetici scorci offerti in lontananza dal pianeta alieno disegnato dai ragazzi di People Can Fly. La granitica solidità del motore di gioco è testimoniata non solo dalla bontà del sistema di illuminazione e dal volume spropositato di effetti particellari prodotti autonomamente dall’ambiente o dalla bocca di fuoco delle armi nemiche, ma anche dalla fluidità degli scontri (anche dei più concitati). Le uniche critiche che possiamo muovere in tal senso sono però quelle relative ai tempi di caricamento delle mappe e delle missioni nelle versioni console del titolo (un problema facilmente aggirabile installando il gioco su disco rigido), al fastidioso effetto di clipping delle superfici alla fine degli intermezzi filmati e alla definizione relativamente scarsa delle texture delle armature di Grayson Hunt e della sua combriccola di mercenari.
Unanimemente positivo è invece il giudizio sul comparto sonoro: ad essere ben al di sopra della media delle produzioni analoghe non è solamente il campionario dei suoni ambientali e delle armi, ma anche la scelta dei brani di accompagnamento della campagna singleplayer e, soprattutto, la qualità complessiva del doppiaggio (ottima in italiano, semplicemente monumentale in madrelingua). I professionisti che hanno prestato la loro voce a Gray, ad Ishi e ai loro amici riescono infatti a gestire magnificamente e senza alcun tentennamento dei dialoghi difficili che, toccando da un’estremità all’altra il ventaglio degli stati emotivi (dalla gioia alla disperazione, fino ad arrivare alla rabbia più cieca), esaltano il copione e contribuiscono ad immergerci nella narrazione con il giusto ritmo e senza commettere sbavature.
COMMENTO FINALE
Bulletstorm rivisita in chiave “macellaia” le ambientazioni post-apocalittiche di Rage e Borderlands, coniugando la bellezza architettonica di BioShock a una caratterizzazione estrema dei nemici e dei personaggi “alla Brink” e ad una fluidità di gioco “alla Vanquish”: ciononostante, il progetto nel suo insieme sembra essere incredibilmente originale. Com’è possibile? Il merito di questo piccolo grande miracolo videoludico va certamente dato alle azioni al cardiopalma offerteci dagli sviluppatori di People Can Fly nella campagna a giocatore singolo e, soprattutto, nell’Anarchia online.
Il meccanismo escogitato da Cliff Bleszinski e dai suoi ragazzi con i Tiri Abilità stravolge la concezione stessa che sta alla base degli sparatutto moderni in prima persona, chiedendoci di approcciarci con creatività ed originalità agli scontri con lo stesso atteggiamento di un pittore davanti a una tela bianca: in altre parole, Bulletstorm ci obbliga a divertirci. E ci riesce.
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