Se la vostra vita ha un valore inferiore a quello di un Revolver ben oliato, se lo Scotch che vi ha servito il barista ha lo stesso sapore dell’acqua all’interno dell’abbeveratoio del vostro cavallo, e se l’unica doccia che amate farvi è quella di freccie quando cercate di attaccare bottone con una graziosa ragazza Apache, possono esserci solo due spiegazioni: o siete nel bel mezzo di un sogno dopo aver visto due volte di fila “Il buono, il brutto e il cattivo”, oppure state vivendo appassionatamente la seconda avventura videoludica dei fratelli McCall.
Realizzato nuovamente dai ragazzi polacchi di Techland per conto di Ubisoft, il secondo capitolo della saga di Call of Juarez è finalmente pronto per farci fare un gran tuffo nel passato e darci così l’opportunità di realizzare il sogno videoludico nostro e di tutti coloro che hanno gli scaffali pieni di “spaghetti western” anni ’60 e di fumetti di Tex Willer. Il viaggio che ci attende è periocoloso ed irto di ostacoli, siete perciò pronti a seguirci per scoprire l’oro che si nasconde all’interno di Call of Juarez: Bound in Blood?
LA FEDE È IL MIO SCUDO!
Georgia, agosto 1864, Stati Confederati d’America: dopo lunghi mesi di saccheggi, incendi, stupri e razzie, la Guerra di Secessione è arrivata ad un punto focale. Le forze nordiste hanno stretto d’assedio la città di Atlanta, e reclamano la testa dei generali sudisti a colpi di cannone, e nemmeno le gesta eroiche di due uomini valorosi, Thomas e Ray McCall, riescono ad evitare la disfatta della Confederazione degli Stati del Sud.
Il centro urbano di Atlanta cade ed è in fiamme, le poche forze sudiste rimaste devono essere riorganizzate in fretta per una contro-offensiva, ma i fratelli McCall non pensano ad altro se non alla propria casa in periferia, e così decidono di disobbedire agli ordini dei superiori gettando alle ortiche le proprie divise grigie per accorrere al capezzale della propria famiglia in difficoltà: da questo momento in poi, per Ray, Thomas ed il loro fratello sacerdote, non può che aprirsi un futuro da fuorilegge, da criminali di guerra per i nordisti e da traditori per i sudisti.
I fatti di sangue che aprono Call of Juarez: Bound in Blood, però, sono solo il preludio a qualcosa di più grande ed inatteso, qualcosa che sconvolgerà la vita dei McCall tanto da indurli a mettere più volte in discussione il loro stesso legame di parentela.
SENTIERI SELVAGGI
Anche se il genere di riferimento di Bound in Blood è tra i più indicati per essere sviluppato videoludicamente come uno sparatutto in prima persona, come ogni buon appassionato di western sa per certo senza una profonda struttura narrativa tutto l’impianto di gioco crolla rovinosamente come un carro colpito a bruciapelo da una mitragliatrice Gatling.
Grazie all’esperienza maturata con il precedente capitolo della serie, i ragazzi di Techland hanno tenuto ben presenti i loro stessi sbagli e vi hanno posto rimedio regalandoci un titolo sobrio, appassionante e dannatamente appagante per via delle innumerevoli scelte che dovremo compiere nel corso dell’avventura.
Il più grande pregio di Bound in Blood sta proprio nella capacità di rendere unica ogni singola missione che saremo chiamati a portare a termine: le tattiche attuabili in battaglia sono condizionate solo dal perenne dualismo simbiotico tra i due fratelli McCall, una fortissima dipendenza reciproca che arricchisce la trama e rende più variegata l’azione di gioco.
Come se non bastasse una campagna in singolo insolitamente lunga per uno sparatutto realizzato con limitate risorse finanziare, oltre alle diverse impostazioni che possiamo dare ad ogni sparatoria ad aumentare all’inverosimile il fattore rigiocabilità ci pensa direttamente Techland dandoci la possibilità di scegliere, nella stragrande maggioranza delle missioni,di utilizzare a nostra scelta Ray o Thomas, senza dimenticare poi le sezioni puramente “free roaming” in cui saremo chiamati a risolvere da soli delle missioni secondarie particolarmente difficili da portare a termine.
DATEMI UN CANNEMOZZE E VI SOLLEVERÒ IL MONDO!
Nonostante la componente strategica sia così profondamente legata ad ogni singolo scontro a fuoco, l’azione rimane perennemente incollata ai fratelli McCall e, oltre che a rendere ogni scelta determinante, aumenta infinitamente l’immedesimazione e la spinta emotiva a macinare missioni su missioni come se si stesse leggendo appassionatamente un libro d’avventura.
La narrazione, infatti, accentua ed esalta le peculiari caratteristiche dei fratelli McCall: scegliere di utilizzare Ray “il duro” o Thomas “la lepre” non è un fatto di abitudine al personaggio o di simpatia per il medesimo, ma è un qualcosa che modifica profondamente il prosieguo della missione, dandoci così modo di affrontare la banda di criminali di turno giocando sia sulle attitudini del McCall che stiamo utilizzando, sia sulle armi che abbiamo a disposizione e che possiamo potenziare a nostro piacimento (a patto di avere i soldi necessari), sia naturalmente sullo stile di combattimento che più amiamo, se dalla lunga o dalla corta distanza.
Ai livelli di difficoltà più elevati, inoltre, si riesce a cogliere la bellezza estraniante delle caratteristiche “secondarie” della giocabilità di Bound in Blood: oltre agli stupendi Duelli uno contro uno alla “Mezzogiorno di Fuoco”, il sistema di coperture è talmente valido ed i nemici sfruttano tale caratteristica in modo così egregio da indurci ad utilizzare una “Modalità Concentrazione”, facendo scattare un breve “bullet time” attraverso il quale riusciamo ad imbracciare due pistole (o quattro, quando c’è da liberare ambienti chiusi assieme a nostro fratello) per avere la meglio su più nemici contemporaneamente.
MULTIPLAYER
Esattamente come nella campagna in singolo, gran parte delle modalità online offerte da Bound in Blood prevedono il gioco di squadra: oltre a delle missioni cooperative staccate dalla storia principale, c’è la possibilità di imbarcarsi in “Sceriffi contro Banditi”, modalità di gioco multiplayer tanto classica quanto spassosa. Particolarmente rilevante e degna di essere menzionata è inoltre la presenza di mappe multigiocatore le cui ambientazioni sono state realizzate per omaggiare vecchi capolavori del cinema western degli anni d’oro, come “Sfida all’O.K. Corral” con gli intramontabili Burt Lancaster e Kirk Douglas.
GRAFICA E SONORO
Nato come evoluzione del motore grafico del primo Call of Juarez, il Chrome Engine 4 gestisce il comparto tecnico di Bound in Blood esaltandone gli effetti volumetrici e particellari, ma offrendo però il fianco a texture dalla risoluzione non particolarmente elevata e ad un’infelice gestione della fisica, come dimostra la compenetrazione dei poligoni dell’arma che si ha in mano col corpo di chi ci è vicino. Nonostante queste lacune, comunque, il balzo qualitativo rispetto a quanto visto col precedente capitolo è netto, e le ispirate ambientazioni tendono a far dimenticare molto presto quelle lacune grafiche che altrimenti avrebbero minato profondamente tutto il lavoro svolto dai ragazzi di Techland.
Per quanto riguarda invece il comparto sonoro, anche se i tantissimi campionamenti audio rendono abbastanza bene l’idea di cosa si sarebbe dovuto sentire se ci si fosse trovati nel bel mezzo di una sana sparatoria durante la fine del diciannovesimo secolo tra le sconfinate praterie centroamericane, è impossibile non citare l’altalenante qualità del doppiaggio in italiano: se il piccolo William McCall sembra vivere di vita propria attraverso una narrazione più che convincente, lo stesso non è possibile dire per Ray e soprattutto Thomas, i cui spezzoni di dialoghi durante le azioni di gioco sembrano essere stati presi a casaccio e riletti da un copione anonimo.
COMMENTO FINALE
Nel complesso, Call of Juarez: Bound in Blood è un’esperienza western a tutto tondo che riporta in auge un importantissimo genere cine-letterario caduto ingiustamente nel dimenticatoio da troppi anni.
I ragazzi della casa di sviluppo polacca Techland hanno dato fondo a tutte le risorse narrative necessarie per dare vita ad un prodotto convincente e coinvolgente, minato però da una realizzazione tecnica che blocca qualitativamente Bound in Blood senza permettergli di raggiungere l’Olimpo degli sparatutto dell’attuale generazione videoludica.
Anche se la campagna in singolo offre un particolare tipo di giocabilità che ci porta a credere realmente di essere all’interno di un affiatato team che collabora per raggiugere uno stesso scopo, la mancanza assoluta di un qualsiasi tipo di cooperativa online per le missioni principali è infatti un vero e proprio crimine di guerra che non si può spiegare in nessun modo razionale: Bound in Blood in cooperativa sarebbe stato un vero e proprio capolavoro.
Nonostante il comparto tecnico e, soprattutto, il design dei livelli di gioco rendano immensamente piacevole alla vista questo secondo episodio della serie di Call of Juarez, il livello qualitativo delle texture, dei modelli poligonali, della gestione della fisica e del contesto narrativo di determinati dialoghi, non può che lasciare l’amaro in bocca per una produzione comunque degna di essere portata a termine.
Di ritorno dal nostro incredibile viaggio nel far west tra indiani, sudisti senza scrupoli e criminali mercenari, quindi, non possiamo che consigliare l’acquisto di Call of Juarez: Bound in Blood a tutti gli amanti del genere e a tutti coloro che hanno voglia di spendere i propri soldi per acquistare uno sparatutto atipico e capace allo stesso tempo di regalare forti emozioni introvabili altrove, se non tra le pagine di Zagor o tra le braccia di una ragazza da Saloon dai facili costumi.
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