Vista impropriamente dai videogiocatori di lungo corso come il successore spirituale di S.T.A.L.K.E.R. (pur con tutti i distinguo del caso rappresentati dalle enormi differenze riscontrabili rispetto alla trama e al gameplay del capolavoro ruolistico degli studi GSC Game World), la saga di Metro è riuscita a ritagliarsi uno spazio sorprendentemente ampio all’interno del mercato degli sparatutto moderni in soggettiva.
Nonostante le limitate risorse economiche a disposizione di 4A Games, tre anni fa gli sviluppatori ucraini di Metro 2033 hanno saputo compiere una vera e propria impresa: seguendo l’esempio dei colleghi di CD Projekt, i ragazzi del vulcanico team di Kiev hanno attinto alle splendide opere dell’autore russo Dmitry Glukhovsky per trasformarle in un’epopea digitale post-apocalittica divenuta un titolo di culto. Il maturo e divertente sparatutto in prima persona risultante da questo felice esperimento ha permesso ai 4A Games di sopravvivere al disfacimento di THQ superando brillantemente il dissesto finanziario del publisher di riferimento attraverso la veloce acquisizione della proprietà intellettuale da parte di Koch Media, l’holding a capo del sempre più influente editore austriaco di Deep Silver.
Nel ringraziare gli astri per aver concesso alla saga di Metro un destino decisamente più dolce di quello capitato all’umanità nei romanzi di Glukhovsky da cui tutta questa serie ha avuto origine, iniziamo ad addentrarci nei cunicoli della metropolitana di Mosca per lanciarci nell’analisi spicciola degli aspetti che contraddistinguono la struttura della trama e le dinamiche di gioco di Metro: Last Light.
FUOCO INCROCIATO
Il canovaccio narrativo di Last Light si riallaccia agli eventi conclusivi del capitolo originario che, lo ricordiamo, era ambientato tra i cunicoli di un’irriconoscibile metropolitana di Mosca del 2033 popolata da chi, nel 2012 descritto con dovizia di particolari nelle opere letterarie dell’omonima serie di romanzi fantascientifici di Glukhovsky, ebbe la fortuna di trovarsi nella metro prima dello scoppio simultaneo delle bombe nucleari che devastarono la capitale russa e l’intero pianeta durante i primi (e tragicamente ultimi) atti della Terza Guerra Mondiale.
Riusciti a sopravvivere all’orrore delle bombe atomiche e allo squallore di una vita passata tra le macerie di una civiltà in rovina, gli abitanti della metropolitana di Mosca hanno saputo superare il periodo peggiore della storia dell’uomo grazie alla protezione garantita dai Ranger e alle azioni compiute dall’intrepido Artyom nelle missioni che, nell’episodio precedente della saga, lo hanno condotto nella tana dei Novi Homines per annientare la minaccia rappresentata da questa nuova razza di mutanti di superficie dotati di spaventosi poteri medianici.
La ritrovata “stabilità sociale” della metro dura però solo un anno: nel 2034 rappresentato videoludicamente dalla campagna principale di Last Light, infatti, il povero Artyom viene richiamato in servizio per rintracciare l’ultimo mutante sopravvissuto al suo attacco e, soprattutto, per fronteggiare il nuovo pericolo costituito dalle fazioni di post-comunisti e di neonazisti formatesi ai margini degli insediamenti “neutrali” dominati dagli sciacalli e dei tunnel di servizio controllati con il pungo di ferro dall’Ordine dei Ranger.
Similarmente a Metro 2033, la struttura narrativa di Last Light non offre alcun punto di riferimento: in ragione del frastagliato plot steso dagli autori di 4A Games per porci al centro del fuoco incrociato dei mostri, degli sciacalli, dei Tetri e dei gruppi armati che popolano i tunnel più esterni della metropolitana, la trama del titolo non segue un percorso univoco.
Nonostante la linearità della storia e l’impossibilità di espanderla con missioni secondarie, la componente narrativa di Metro: Last Light riesce infatti a garantire tantissimi colpi di scena e altrettanti “momenti di riflessione” in cui poter approfondire la conoscenza degli abitanti di questo precario mondo sotterraneo attraverso centinaia di dialoghi “diretti” e di accese discussioni carpite dai nemici durante una delle innumerevoli operazioni stealth che imperlano un’avventura che, se intrapresa a un livello di difficoltà elevato e con la giusta “mentalità”, riesce a garantire non meno di dieci-undici ore di gioco.
ARTYOM IL RISOLUTORE
Quasi come un folle trapezista in equilibrio su di un filo teso tra due grattacieli contigui, la giocabilità dell’ultima creatura post-apocalittica degli sviluppatori ucraini segue l’anarchico percorso della componente narrativa e ne asseconda i capricci per trasmetterci la sensazione di perenne precarietà sperimentata dal personaggio interpretabile lungo tutto il prosieguo dell’avventura.
All’interno della struttura delle missioni di Last Light convivono diversi ecosistemi di gioco: oltre alle già citate “fasi d’intermezzo” in cui è possibile ascoltare le storie del sopravvissuto di turno passeggiando per i cunicoli delle bidonville sotterranee sorte tra i tunnel di servizio della metropolitana di Mosca, le situazioni più pericolose in cui bisogna imbattersi nei panni di Artyom non sono scriptate e lineari come in passato ma, al contrario, permettono all’utente di approcciarsi alle missioni adottando di volta in volta un atteggiamento “diretto” o “silenzioso”. Diversamente dal concept originario che prevedeva una serie di missioni secondarie da affrontare in compagnia del Ranger Khan, però, le mappe di Last Light non sono “aperte” e seguono un percorso prestabilito.
Tolte le aree “di dialogo” e le zone di transizione necessariamente su binari (ma dall’alto valore scenografico, come le pericolose ma affascinanti escursioni in superficie), i livelli di Last Light sono comunque disegnati in modo tale da consentirci di scegliere in maniera assolutamente autonoma se incrociare la strada dei nemici con delle sane sparatorie a viso aperto, se adottare un basso profilo per uccidere silenziosamente le sentinelle senza correre il rischio di far scattare l’allarme (con conseguente invasione di soldati corazzati) o se aggirare completamente l’ostacolo studiando la pianta digitale della mappa per trovare eventuali scorciatoie ed evitare in questo modo degli inutili spargimenti di sangue (e di preziose pallottole).
In questo contesto va ricondotta la presenza del sistema di personalizzazione delle armi tramite delle componenti modulari e degli innesti acquistabili dagli armaioli e dai commercianti della metropolitana: nonostante gli sforzi profusi dai 4A Games per garantire un ampio ventaglio di elementi d’equipaggiamento, però, purtroppo il sistema viene pesantemente limitato dal precario “equilibrio” delle armi (troppo sbilanciato in favore del rateo di fuoco). Il danno delle pallottole, infatti, sembra essere il medesimo a prescindere dal calibro e dalla potenza dell’arma: i revolver, i fucili di precisione e i fucili a canne mozze, di conseguenza, sono assolutamente superflui dati che sin dalle primissime ore di gioco si può assemblare (o comunque la si può reperire dal corpo esanime del nemico di turno) un mitragliatrice semiautomatica dotata di mirino e di silenziatore.
Gli scricchiolii dell’impianto di gioco eretto dagli sviluppatori di Kiev si avvertono anche nella reattività dei soldati (la cui intelligenza artificiale lascia a dir poco a desiderare), nella gestione del sistema d’illuminazione dinamica (pur trovandoci ad un palmo dal naso di un nemico, se le luci sono spente quest’ultimo non s’accorge della nostra presenza nonostante la forte penombra), nel livello di difficoltà complessivo (specie considerando la beffa dovuta alla necessità di acquistare un DLC per sbloccare il livello più elevato) e, ultimo ma decisamente non per ordine di importanza, nell’assenza di una qualsivoglia modalità multiplayer competitiva a contorno dell’esperienza di gioco in singolo.
GRAFICA E SONORO
Visivamente parlando, Metro: Last Light assume la forma di un meraviglioso e caleidoscopico universo di colori e di sensazioni difficilmente descrivibili seguendo il rigido e semplicistico parametro della grafica e della tecnica spicciola. Immergendoci nel trambusto post-atomico delle bidonville ricavate dai vagoni della metropolitana, nelle fredde atmosfere della superficie e nell’orrore dei tunnel di servizio dominati dalle creature mutate dalle radiazioni si ha la netta sensazione di trovarci in una dimensione parallela in cui tutto, dalla zuppa marrognola dei sopravvissuti all’uso magistrale degli effetti particellari, dell’illuminazione e dei filtri, risulta essere dannatamente credibile e coerente con la visione di Glukhovsky.
Le uniche note stonate di un comparto grafico di prim’ordine sono i problemi di compatibilità e di frame rate riscontrabili su PC con le schede grafiche AMD e con alcune GPU Nvidia di fascia media e medio-bassa (nulla che un buon driver aggiornato non possa risolvere, comunque). Meno fastidioso, ma comunque presente, è infine il ritardo nel caricamento delle texture avvertibile (specie su console) avvicinandoci ad una parete o zoomando su di essa con un mirino.
Come per il capitolo precedente, anche stavolta i 4A Games hanno dato grande importanza alla componente audio: i “compositori digitali” del team ucraino hanno infatti provveduto ad arricchire le scene di gioco con brani strumentali relativamente semplici ma dal forte impatto emozionale. Non meno importante è poi il lavoro che i doppiatori italiani hanno portato avanti per mantenere gli altissimi standard qualitativi dei dialoghi originali (in un delizioso inglese misto al russo).
COMMENTO FINALE
Se guardiamo alla trama di Last Light notiamo come gran parte del lavoro svolto dai 4A Games sembra essere in continuità con quanto fatto nel 2010, con una storia “liquida” immersa in una serie di dialoghi estemporanei e di spunti narrativi che servono a dare forma all’ambientazione e ad elevare il pathos scenico, prima ancora che a rendere più convicente l’epopea di Artyom. Se però osserviamo il progetto da un punto di vista più alto possiamo apprezzare la bontà delle innovazioni apportate dagli sviluppatori ucraini per plasmare un’avventura che, a dispetto delle tante promesse disattese dal team di Kiev (dalla mancanza di una modalità multiplayer all’ancor più sofferta assenza delle missioni secondarie), dimostra comunque di essere qualitativamente e tecnicamente superiore alla stragrande maggioranza dei titoli analoghi.
Al netto delle problematiche riscontrate nell’eccessiva linearità del canovaccio narrativo e nella lacunosa gestione degli elementi sandbox e stealth che arricchiscono l’avventura, Metro: Last Light riesce infatti a dimostrare il suo valore e ad appagare i sensi degli appassionati di FPS grazie ad un solido impianto di gioco e ad un’atmosfera da urlo che, grazie al cielo, non soffre dello stessa “sindrome da film di Steven Seagal” che ha trasformato gli sparatutto più blasonati della concorrenza in un guazzabuglio di scene action così forzatamente violente e adrenaliniche da risultare irrealistiche e tragicomiche come, appunto, le ultime pellicole della star hollywoodiana di cui sopra.
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