Sopravvissuto al naufragio del progetto iniziale di Hideo Kojima, Metal Gear Rising: Revengeance è il frutto del lavoro compiuto dai Platinum Games per tentare di risollevare le sorti di un videogioco atteso da milioni di appassionati.
Consapevoli della delicatezza dell’incarico affidatogli da Konami, gli sviluppatori di Osaka hanno così deciso di dare forma a un qualcosa di completamente nuovo, un titolo che fosse in grado di abbandonare le velleità simulative manifestate dal capostipite della saga con il filmato dimostrativo del Rising originario. Il risultato di questo lungo processo creativo riprende le soluzioni di gioco affinate dagli autori giapponesi nel percorso a tappe inaugurato nel 2009 con il visionario Bayonetta e giunto idealmente a compimento nel 2010 con l’adrenalinico Vanquish.
Correndo il rischio di inimicarsi i fan di lungo corso della serie di Metal Gear, i Platinum Games evitano quindi di lanciarsi nel vuoto e scelgono di attingere a piene mani dall’esperienza maturata in questi anni nel campo degli hack & slash per non rischiare di finire schiacciati dall’enorme peso morale della proprietà intellettuale della storica saga di Solid Snake. Proviamo quindi ad immergersi nell’universo di gioco di Metal Gear Rising: Revengeance per capire fin dove sono riusciti a spingersi gli sviluppatori chiamati in causa da Konami per portare a compimento questo progetto.
RAIDEN IL GIUSTIZIERE
Il canovaccio narrativo steso dagli autori di Platinum Games sotto la supervisione dei Kojima Productions ci proietta a quattro anni di distanza dagli eventi conclusivi di Guns of the Patriots: siamo infatti nel 2018 e l’equilibrio geopolitico delle nazioni ermergenti è garantito dalle sempre più influenti compagnie militari private delle superpotenze occidentali. In una di queste società presta diligentemente servizio il giovane Raiden, un formidabile guerriero ninja chiamato a guidare la scorta del Primo Ministro di un fittizio Stato africano intenzionato a garantire la pace e il benessere al proprio popolo dopo decenni di guerra civile.
Ancor prima della fine del filmato introduttivo, il benevolo programma di governo del Premier N’Mani viene però interrotto bruscamente dal tentativo di sequestro portato a compimento dagli uomini di punta della Desperado, una compagnia concorrente decisa a tutto pur di destabilizzare la regione soffiando sul fuoco del conflitto per lucrare sulla vendita delle armi alle fazioni in lotta, il tutto con il semplice scopo di rimettere in moto l’infame economia di guerra: con questo semplice ma efficace pretesto narrativo, i Platinum Games innalzano ad esempio il comportamento dei Patriots nella storia di Metal Gear Solid 4 per dare a Raiden l’opportunità di fare sfoggio delle proprie capacità con la katana.
Dal truce assassinio di N’Mani in avanti, gli autori giapponesi trasformano quindi il solitario protagonista di Metal Gear Rising: Revengeance nello strumento di una vera e propria caccia all’uomo mirata a scardinare i loschi piani della Desperado imbarcando Raiden in una serie di operazioni volte a rendere inoffensivi i cyborg al comando dei vari nuclei di comando di questa multinazionale del terrore. Tra spezzoni in cinematica e sessioni di gioco propriamente dette, la campagna in singolo di Revengeance non riesce però a strutturarsi con coerenza in ogni livello e finisce con l’assumere le sembianze informi di un’avventura episodica e sfilacciata, una storia senza mordente ed emotivamente sterile.
Un elemento della componente narrativa che garantisce un minimo di trasporto comunque c’è, ed è quello che corre sottotraccia di missione in missione per accrescere la forza distruttrice di Raiden alimentando la sua rabbia nei confronti degli scagnozzi cibernetici della Desperado: come in Bayonetta, in Madworld e in Vanquish, quindi, anche nella dimensione interattiva di Revengeance la trama non è che un pretesto per porre l’accento sul gameplay, ossia su ciò che ha reso celebri i lavori pregressi di Platinum Games.
KATANE BOLLENTI
Nonostante le profonde differenze sussistenti con la visione originaria del progetto sviluppato da Kojima, il “nuovo” Metal Gear Rising firmato dal team di Osaka continua comunque a fare perno sulla katana impugnata da Raiden: quasi tutti gli elementi della struttura di gioco eretta dai Platinum Games convergono infatti su questa portentosa lama elettrica, ed è facile intuire il perchè di una simile scelta. La maestria nell’uso della katana dimostrata dal ninja cyborg impersonabile nelle missioni di Revengeance pone Raiden agli antipodi rispetto all’approccio stealth che da sempre accompagna le avventure di Solid Snake: bastano infatti pochissimi minuti di gioco per accorgersi delle distanze siderali che dividono i due eroi della saga di Kojima.
Approfittando di questa lontananza, gli sviluppatori giapponesi incaricati da Konami di realizzare questo capitolo parallelo della serie di Metal Gear hanno così plasmato delle dinamiche di gioco incentrate quasi esclusivamente sulla velocità d’esecuzione delle combo e degli attacchi tramite l’impiego della katana e di pochi altri oggetti speciali strappati al boss di turno.
Pur deprimendo gli aspetti strategici e finendo col trasformare buona parte dei combattimenti in sterili sequenze tritatasti, l’impalcatura di gioco eretta dai Platinum Games a supporto dell’adrenalinico combat system permette agli appassionati di calarsi immediatamente nei panni di Raiden e di menare mazzate a più non posso senza curarsi dello stile delle combo o della precisione dei propri attacchi. Anche per questo gli sviluppatori fanno un uso smodato degli eventi quick-time per mettere alla prova i riflessi degli amanti degli action orientali obbligandoli a eseguire rapide combinazioni di tasti nelle fasi più concitate degli scontri coi gruppi di nemici minori e, soprattutto, durante le splendide battaglie con i boss.
Per spezzare il ritmo frenetico dell’azione di gioco e garantire un minimo di elementi strategici, il team di Osaka ha così pensato di legare l’intera esperienza di combattimento e d’esplorazione all’uso dello Zandatsu, una tecnica speciale che permette agli utenti di rallentare il tempo e di tagliuzzare chirurgicamente il nemico di turno sperando di strappargli la spina dorsale cibernetica per ricavarne un cospicuo bonus di energia e di punti esperienza. Oltre che per fare a fette gli avversari e per attivare uno speciale visore tattico che evidenzia la posizione dei nemici, dei medikit, delle granate e delle munizioni delle armi pesanti secondarie, la tecnica dello Zandatsu acquista ulteriormente peso nell’economia di gioco se consideriamo che è solo attraverso di essa che gli appassionati possono acquisire i punti esperienza necessari per personalizzare e potenziare il proprio alter-ego sbloccando le combo più complesse, gli aggiornamenti tecnologici per la katana e i miglioramenti spiccioli per le barre di salute ed energia.
A chiudere il cerchio dell’offerta videoludica di Revengeance ci pensano poi le operazioni di ricerca degli soliti oggetti collezionabili sparsi per le ambientazioni della campagna in singolo, dai file di testo con cui approfondire la conoscenza dei personaggi secondari ai terminali necessari per sbloccare i mini-giochi delle missioni VR.
GRAFICA E SONORO
Il comparto tecnico di Metal Gear Rising: Revengeance segue i giudizi sulla qualità del canovaccio narrativo e del gameplay. L’altalenante risoluzione delle texture che mappano le ambientazioni si scontra inesorabilmente con la bontà dei modelli poligonali dei personaggi a schermo e delle animazioni a corredo delle combo di Raiden e dei suoi avversari. Anche per ciò che riguarda tutti gli altri aspetti dell’impalcatura grafica eretta dai Platinum Games assistiamo a delle piccole ma fastidiose sbavature legate ad esempio ai saltuari rallentamenti durante le fasi di gioco più concitate o ai buffi bug riscontrabili nella gestione erronea delle collisioni da parte del motore fisico.
Per avere più chiaro il quadro della situazione bisogna però volgere lo sguardo in direzione degli effetti particellari, dei filmati in cinematica e delle squisite sequenze di gioco contro i boss di Revengeance: è qui che il titolo riesce a dare il meglio di sé, ed è qui che il team di Osaka si è speso maggiormente per soddisfare le richieste degli appassionati di action, prima ancora che dei fan della saga di Metal Gear.
Meno contraddittorio del comparto tecnico è invece il giudizio sulla componente audio. La colonna sonora scandisce mirabilmente il ritmo delle scene a schermo attraverso una serie di energici brani rock, la rumoristica sostiene con puntualità le azioni più concitate e il doppiaggio in inglese svolge il suo compito senza scivoloni di sorta. Un elemento, quest’ultimo, che rende di certo meno amaro il dispiacere per l’assenza del doppiaggio in italiano, specie in virtù del fatto che è pur sempre possibile abilitare i sottotitoli.
COMMENTO FINALE
Turbolento come il passato dell’eroe impersonabile, lo sviluppo di Metal Gear Rising: Revengeance ha prodotto una trama sfilacciata e un impianto di gioco eccessivamente orientato alla velocità d’esecuzione dei movimenti e degli attacchi. Limitare a questo il giudizio complessivo sull’opera ultima dei Platinum Games sarebbe però un esercizio di critica troppo severo nei confronti di questo progetto.
Pur con tutte le limitazioni dovute alle incongruenze riscontrate nel plot narrativo e nel sistema di combattimento, l’esperienza di gioco di Revengeance riesce infatti a garantire diverse ore di genuino divertimento arcade. L’avventura principale è immediata e godibile in ogni suo aspetto, il livello di sfida offerto dalle battaglie con i nemici minori rappresenta uno stimolo per qualsiasi tipologia di giocatore e gli splendidi scontri con i boss appagano il corpo e la mente degli appassionati più esigenti di action orientali.
Se non avesse dovuto fare i conti sin dal suo annuncio con il fantasma persistente della saga culto di Hideo Kojima, Metal Gear Rising: Revengeance si sarebbe di certo risparmiato buona parte delle critiche mossegli in questi mesi dalla stampa di settore e dagli irriducibili fan di Solid Snake. Per questo, e per tutto ciò che ci siamo detti attraverso questa recensione, l’esperimento dei Platinum Games può dirsi compiuto, ma solo a metà.
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