Il successo – per certi versi inaspettato – di Mad Max: Fury Road e le adrenaliniche scene di violenza che hanno caratterizzato l’opera ultima di George Miller dedicata all’eroe delle Wasteland e alla sua leggendaria auto Interceptor ci hanno accompagnati nei lunghi mesi di attesa per l’uscita del nuovo videogioco di Mad Max firmato Warner Bros., contribuendo ad alimentare le speranze degli appassionati per questo titolo a mondo aperto.
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Il progetto portato avanti dagli esperti sviluppatori svedesi degli studi Avalanche (Just Cause), però, si sgancia dalla linea narrativa dello stesso Fury Road per offrirci un’esperienza completamente originale, ben lontana da quella delle produzioni serializzate più popolari e dai tie-in cinematografici di dubbio valore artistico.
Nelle oltre 20 ore di gioco che abbiamo passato in questi ultimi giorni esplorando le lande desolate in compagnia del Guerriero della strada ci hanno restituito l’immagine di un titolo con un potenziale enorme, ma in parte inespresso. Per capire fino a che punto sono riusciti a spingersi gli studi Avalanche nella lunga strada che li ha portati a dare forma al progetto di Mad Max su PC, PS4 e Xbox One, quindi, non vi resta che seguirci nella recensione che v’attende qui sotto.
COSA CI PIACE
Gameplay solido e appagante
Il sistema di gioco di Mad Max grida a squarcia gola la voglia di libertà e di violenza espressa dall’eroe della saga post-apocalittica di George Miller nella trilogia originaria di Mad Max e nel moderno Fury Road: come abbiamo avuto modo di scoprire nelle lunghe video-dimostrazioni offerteci in questi mesi dagli Avalanche, l’approccio sandbox adottato dai padri della saga di Just Cause permea l’opera in ogni suo elemento, immolando la trama della campagna principale sull’altare dell’open-world più estremo.
Sfrecciando sulle corsie preferenziali degli action in terza persona e degli arcade racing, le meccaniche di gameplay di Mad Max attingono a piene mani dal lavoro svolto per Warner Bros. dai ragazzi degli studi Rocksteady con la serie di Batman, ma non solo. Le sessioni di guida a bordo della Magnum Opus, ad esempio, regalano un’esperienza di gioco simile a quella sperimentata da chi si è cimentato negli omologhi combattimenti motorizzati di RAGE. Nei frangenti appiedati in cui dovremo indossare i panni di Max Rockatansky, allo stesso modo, possiamo ritrovare le mosse e la familiare inquadratura in terza persona che hanno contriddistinto le spericolate avventure digitali vissute dagli emuli di Rico Rodriguez tra le paradisiache isole dei precedenti episodi di Just Cause.
Il desiderio di vendetta per la sottrazione della leggendaria Interceptor avvenuta a inizio avventura ad opera degli sciacalli della regione è la benzina che spinge l’inferocito Max a premere sull’acceleratore della sua nuova auto per acquisire le tecniche di combattimento, le conoscenze con i capi delle fortezze dell’area, le armi, le elaborazioni meccaniche e i rinforzi alla carrozzeria necessari a sferrare l’attacco finale al boss indiscusso di questo deserto di polvere e bitume, il sanguinario Scabrous Scrotum.
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Tantissime aree da esplorare
Le terre desolate di Mad Max sono un vero e proprio paradiso per tutti i cultori delle avventure a mondo aperto: tra accampamenti presidiati da orde di cannibali, dungeon ricavati dagli sciacalli nel ventre di navi semisommerse dalla sabbia e dai cadaveri, deserti solcati dalle scie incrociate di convogli corazzati, minacciosi avamposti di cecchini e immense fortezze si stagliano all’orizzonte proiettando la loro ombra su intere vallate, le Wasteland sono una guida interattiva alla sopravvivenza in un mondo post-atomico.
A dispetto delle apparenze, infatti, il deserto virtuale di Mad Max è tutt’altro che “vuoto”: le pile fumanti di cadaveri in decomposizione, le luci riflesse dai mirini telescopici dei cecchini, i fuochi accesi negli accampamenti dei cannibali e le colonne di polvere alzate dai carri della morte degli scacalli in perlustrazione stanno lì a ricordarci che nulla, in questa dimensione di violenza e terrore, può essere data per scontata. Non è un caso, quindi, se gli artisti digitali di Avalanche hanno deciso di suddividere la mappa in sei macro-regioni collegate le une alle altre da una fitta rete di attività secondarie e di sfide da compiere per avere la meglio sugli sgherri di Scrotum.
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Artisticamente ispirato
La cura riposta dagli studi Avalanche nella ricostruzione dell’universo post-apocalittico del “loro” Mad Max prendendo spunto dalla saga di George Miller produce effetti significativi (in positivo, s’intende) sul comparto grafico e sulla qualità artistica degli elementi estetici e scenici che concorrono a plasmare le Lande Desolate.
Ogni avamposto e luogo da esplorare è magnificamente caratterizzato e presenta elementi unici, dal layout dei dungeon all’arredo degli interni, in cui dare sfogo alla propria creatività attraverso una modalità fotografica talmente profonda da permettere persino la registrazione di brevi filmati (agendo, come nel caso delle immagini, su elementi come lapalette cromatica, i filtri e la profondità di campo).
Le uniche note dolenti del lavoro artistico compiuto dai padri di Just Cause riguardano i bug che minano l’esperienza di gioco in taluni frangenti della storia (come nel caso del ragdoll impazzito dell’eroe durante le tempeste di sabbia) e la scarsa risoluzione di alcuni elementi minori dello scenario e degli accampamenti (scomodo retaggio della natura crossgenerazionale del progetto originario).
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COSA NON CI PIACE
Trama quasi assente
Appena superato il cinematic trailer iniziale, sin dai primi istanti della campagna principale di Mad Max si avverte netta la sensazione che la storia, per come è stata scritta, serva solo ed esclusivamente a rendere ancora più imprevedibile e “precaria” la situazione vissuta dal nostro alter-ego in questo immenso deserto di sabbia, polvere e sangue.
Nonostante gli infiniti spunti autorali offerti dalla saga di Miller, infatti, il personaggio digitale del Mad Max firmato Avalanche risulta essere mostruosamente privo di incisività e di carattere. Tutto ciò, naturalmente, non può che riflettersi negativamente sulla trama, che difatti finisce con il dilapidare il prezioso patrimonio di idee di Fury Road.
Gli unici “appigli narrativi” degni di nota che riescono a farci dimenticare la piattezza espressiva dell’eroe e la pochezza della trama della campagna principale sono quelli rappresentati dalle informazioni offerte dai reperti storici scoperti nelle lande desolate, dai profondi discorsi filosofici di Griffa sulla vita di Max e dalle battute estemporanee pronunciate dal fedele Chumbucket all’interno delle fortezze o sul tetto della Magnum Opus.
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Missioni e sfide a volte ripetitive
Per loro stessa natura, un po’ tutti i videogiochi a mondo aperto soffrono di una certa ripetitività nelle missioni e nelle attività da svolgere nei cosiddetti “frangenti sandbox”: anche per questo, con questo particolare genere di prodotti di intrattenimento digitale la differenza più importante tra un buon titolo e un capolavoro la fa sempre chi riesce a sposare gli elementi open-world a una solida trama, come ben sapranno i milioni di fan di GTA V e di Fallout 3.
Da questo punto di vista, Mad Max soffre terribilmente dell’assenza non solo di una componente narrativa degna di definirsi tale, con missioni autenticamente originali e sfide capaci di spezzare la monotona progressione dei livelli basata sulla liberazione degli avamposti e sull’acquisizione di elementi estetici e di equipaggiamento sempre più rari. Col passare delle ore di gioco, anche il più fedele sostenitore degli action a mondo aperto (come il sottoscritto) sente inesorabilmente la mancanza di una trama solida e di un convaccio narrativo capace di dare un minimo di respiro all’utente aggiungendo un pizzico di imprevedibilità all’esperienza di gameplay.
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CONSIDERAZIONI FINALI
Nonostante l’evidente voragine narrativa lasciata dagli autori degli Avalanche Studios nella campagna principale di Mad Max e il fastidio dovuto alla ripetitività di talune missioni secondarie legate alla componente open-world, l’ultimo action post-apocalittico di Warner Bros. Interactive Entertainment riesce comunque a garantire decine e decine di ore di sano divertimento a tutti i cultori del genere.
Grazie all’ottimo lavoro svolto dal team svedese che ha dato i natali alla serie di Just Cause, tutti gli emuli di Max Rockatansky possono infatti immergersi nella straordinaria atmosfera offerta dalle piane desolate del Grande Nulla sfrecciando a bordo della propria Magnum Opus personalizzata per bagnare nel sangue gli incubi che popolano le notti insonni dell’eroe di George Miller.
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