Homefront: la recensione

Homefront: la recensione

In una dimensione videoludica così affollata come quella degli sparatutto in prima persona, ogni singolo progetto immesso sul mercato rischia inevitabilmente di rompere il già precario equilibrio di un ambiente saturo di prodotti che, rilasciati a ciclo continuo dalle multinazionali del settore per questioni meramente economiche, inaridiscono la mente degli sviluppatori e sviliscono al contempo le speranze e il divertimento degli appassionati, mettendo in moto un perverso meccanismo in grado di autoalimentarsi fino ad implodere su se stesso.

La consapevolezza di dover adottare un deciso cambio di rotta prima che sia troppo tardi sta perciò prendendo lentamente piede all’interno delle case di sviluppo più audaci: se con Bulletstorm i ragazzi di People Can Fly hanno ridisegnato le classiche meccaniche di gioco degli FPS con una sana iniezione di varietà (e di follia), negli studi olandesi di Guerrilla i creatori di Killzone 3 hanno offerto ai loro fans un punto di vista assolutamente inedito sulla natura dei “nemici” e sulle intime motivazioni che nella campagna in singolo dei tre capitoli maggiori della saga li hanno spinti a combattere con tale veemenza contro la nostra fazione.

La scelta dei ragazzi newyorkesi di Kaos Studios di voler concludere i lavori su Homefront per proporcelo proprio in questo periodo sembra assecondare un disegno superiore manifestatosi in questi ultimi mesi con le aspre critiche alla logica industriale del “more of the same” che, se escludiamo le considerazioni sul mostruoso volume di vendite generato, ha accompagnato l’uscita e i primi vagiti di vita di titoli come Black Ops, Medal of Honor, Halo Reach, Red Steel 2 e GoldenEye 007 (e che, indirettamente, ha portato alla roboante notizia della chiusura definitiva della serie di Guitar Hero).

Per questo, e per tutta una serie di motivi che andremo a sviscerare assieme con questa recensione, vale la pena analizzare il lavoro svolto con Homefront dalla sussidiaria di THQ.

L’AUTUNNO DEGLI STATI UNITI

Dai perk della modalità multigiocatore alla foggia dei menù di pausa, dal tenore della colonna sonora alla progressione degli eventi nella campagna in singolo, tutta l’impalcatura narrativa e videoludica di Homefront è sorretta dalla ferrea volontà degli sviluppatori dei Kaos Studios di far sperimentare ai propri utenti l’orrore della guerra vissuto da un punto di vista completamente diverso da quello offerto dagli altri prodotti analoghi.

Firmata da John Milius (l’autore della sceneggiatura di film culto come Apocalypse Now, Conan e Alba Rossa), la trama di Homefront ci proietta infatti nel bel mezzo della fulminea invasione del territorio statunitense attuata dalle truppe della Corea del Nord, divenuta in questo ipotetico 2027 la più florida (e crudele) delle superpotenze mondiali grazie all’annessione,nel corso dei due decenni precedenti, del Giappone e dell’Indocina e al conseguente tracollo economico dei Paesi occidentali dovuto alla mancanza cronica di petrolio.

Il titolo ci pone quindi nella svantaggiosa condizione dei civili che, privati brutalmente della libertà e dei diritti fondamentali, cercheranno in tutti i modi di riorganizzarsi in piccoli nuclei combattenti per intralciare i piani di conquista dei nord-coreani nella speranza che desistano dall’attaccare la costa est degli USA, scampata all’invasione per via di una “barriera radioattiva” creata dagli americani dalla foce del Mississipi alla regione dei Grandi Laghi facendo esplodere a catena tutte le centrali nucleari della fascia come extrema ratio per rallentare l’avanzata nemica.

In Homefront, gli avvenimenti della trama non sono semplici orpelli scenici che accompagnano le azioni nude e crude compiute da soldati di plastica che combattono guerre sterili su lontane dimensioni parallele, ma sono accecanti bagliori nel buio che solleticano le speranze dei civili sotto occupazione e guidano le azioni di donne e uomini obbligati ad imbracciare le armi per difendere la propria amata casa.

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(DIS)OBBEDIRE AL GRANDE LEADER

Diversamente da quello che ci si sarebbe potuto aspettare una volta divorate le numerose anteprime offerteci dai ragazzi di Kaos Studios in questi mesi sottoforma di video-dimostrazioni e ricchi diari di sviluppo, la campagna a giocatore singolo di Homefront non corre sul binario del patriottismo ad ogni costo ma, al contrario, piega il proverbiale attaccamento degli americani alla propria bandiera alle impellenti necessità primarie di una popolazione stremata fisicamente e psicologicamente dalla presenza incessante delle truppe di Kim Jong-Un.

Una volta dimostrato il proprio valore ed essere entrato nella resistenza, quindi, al nostro alter-ego virtuale e alla sua squadra saranno affidati di volta in volta dei compiti apparentemente superficiali ma, a ben vedere, assolutamente necessari per limitare l’enorme potenziale offensivo dei coreani: a rendere ancor più “atipica” la struttura narrativa ci pensa poi il ventaglio di scelte che sarà possibile attuare in completa autonomia per avere la meglio sugli avversari.

Grazie anche alla natura stessa degli ambienti urbani in cui andremo ad agire, ogni missione, da quelle di sabotaggio alle infiltrazioni compiute col favore delle tenebre dietro alle linee nemiche, potrà essere infatti intrapresa con un atteggiamento spavaldo (ad esempio attaccando in campo aperto le postazioni coreane) o più accorto (aggirando le postazioni per colpire di sorpresa gli invasori): tutto ciò, come è naturale che sia, non fa che alzare a dismisura il tasso di rigiocabilità dell’avventura singleplayer, andando così a controbilanciare la scarsa longevità di un prodotto che, anche ai livelli di difficoltà più elevati, giunge inesorabile ai titoli di coda dopo sole 5 o 6 ore di gioco effettive.

Alle critiche sulla brevità della campagna in singolo vanno poi ad aggiungersi le inevitabili considerazioni negative sul comportamento scriptato dei propri compagni di squadra e, soprattutto, dei nemici, governati da un’intelligenza artificiale raffinata ma incapace di reagire celermente alla “natura” variegata dei nostri attacchi: eggià, perchè in Homefront la presenza dei veicoli, dei droni, dei mezzi ricognitori, di diverse tipologie di esplosivi e di una serie altrettanto ampia di lanciarazzi è una costante fissa che lega senza soluzione di continuità le sessioni sparatutto “classiche” consentendoci di plasmare l’esperienza di gioco al nostro volere. Una caratteristica, quest’ultima, che trova il suo naturale compimento nella galassia delle modalità di gioco multiplayer competitive.

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MULTIPLAYER

La componente multiplayer di Homefront corre parallela all’avventura in singolo e, com’è facilmente intuibile, vede scontrarsi le truppe coreane con i soldati della resistenza: forti dell’esperienza accumulata in tal senso con il discreto Frontlines Fuel of War, i newyorkesi di Kaos Studios tessono una serie di modalità legate le une alle altre dalla necessità, sia dell’una che dell’altra fazione, di conquistare ad ogni costo un determinato settore di una ricca città della periferia americana.

Grazie anche alla presenza di utilissimi server dedicati, i ragazzi della rinomata sussidiaria statunitense di THQ ci regalano stanze online che variano dai 32 utenti della modalità Controllo di Terra ai 12 della Schermaglia, passando per i 24 dei Deathmatch a Squadre: la modalità più rappresentativa del titolo è certamente quella del Controllo di Terra, una vera e propria “guerra simulata” in cui due squadre da 16 soldati ciascuna si contendono tre punti strategici della mappa fin quando non raggiunge un determinato punteggio. Analoghe alle sessioni di Controllo di Terra troviamo poi le partite Comandante, basate anch’esse sulla cattura e sulla difesa di punti obiettivi che, però, variano ciclicamente per evitare ai cecchini e ai giocatori “fissi” (i cosiddetti “camper”) di trarre vantaggio dai punti “oscuri” della mappa.

Ciò che però rende davvero unico il multiplayer di Homefront non sono tanto le battaglie da 32 giocatori (particolarmente frenetiche e fluide), ma le incredibili possibilità di personalizzazione garantite dall’Armeria: sulla falsariga della varietà della campagna in singolo, ogni utente può infatti customizzare l’equipaggiamento del proprio soldato/partigiano digitale attraverso una gigantesca lavagna che, col passare dei gradi e degli obiettivi secondari (ad esempio come quello di uccidere un numero prestabilito di nemici con una determinata tipologia di armi da fuoco o di droni), può essere disegnata secondo il proprio gusto personale.

L’unica critica che possiamo muovere in tal senso, oltre alla difficile individuazione dei nemici per colpa delle evidenti pecche grafiche (di cui ci occuperemo compiutamente nel paragrafo successivo), è dovuta all’omogenea distribuzione dei perk e delle altre caratteristiche dell’Armeria: le truppe della resistenza e quelle dell’esercito del nuovo impero coreano, infatti, possono accedere allo stesso identico set di armi, di veicoli, di droni e di accessori, annullando così il realistico lavoro narrativo compiuto dagli sviluppatori nella campagna in singolo.

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GRAFICA E SONORO

Realizzato sulla base di una versione modificata dell’Unreal Engine 3, il comparto grafico di Homefront spicca più per la bontà artistica del prodotto nel suo complesso che per il modo in cui tutto è stato rappresentato: l’atipicità delle ambientazioni proposte (vecchi centri commerciali adibiti a depositi munizioni, stadi di baseball riconvertiti in campi di prigionia e via discorrendo) rende davvero bene l’idea dell’occupazione violenta del territorio statunitense da parte di un invasore straniero, ma la scarsa ricchezza poligonale dei nemici, le blande animazioni dei compagni della resistenza, i precari filtri grafici, i problemi di framerate e il fastidioso fenomeno di clipping che ritarda di molto il caricamento delle texture sono delle profonde crepe che minano l’integrità strutturale del progetto.

La qualità altalenante del comparto grafico, specie nelle frenetiche sessioni multigiocatore ha l’effetto di una montagna russa impazzita che rende praticamente impossibile all’utente di individuare con precisione i nemici nascosti all’interno di nuvole di pixel squadrati che, nelle intenzioni degli sviluppatori, dovrebbero essere dei cespugli.

Meno precaria, ma comunque non estasiante è poi la situazione relativa al comparto audio: la colonna sonora è aderente allo spirito dell’opera, segue con il giusto ritmo lo svolgersi delle missioni in singleplayer e delle sessioni in multi ma finisce con l’essere più ripetitiva di quanto ci si sarebbe potuto attendere da un progetto con una narrazione così evoluta. Decisamente superiore alla media degli sparatutto in prima persona è invece il tenore qualitativo del doppiaggio in italiano, capace di rendere giustizia alla tragicità espressiva della trama ancor più dei loro diretti colleghi d’oltreoceano.

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COMMENTO FINALE

Dal punto di vista visivo e prettamente videoludico l’impressione generale che dà Homefront è quella di un progetto maturo ma incompleto, forse terminato in fretta e furia per rientrare nelle tempistiche, che stenta a reggere il passo dell’agguerrita concorrenza se non tramite una dose massiccia di patch correttive che possano a limare le incongruenze della grafica e di contenuti aggiuntivi che possano donare al titolo altre missioni in singolo e, se possibile, delle mappe multigiocatore più varie.

Scremando però i difetti del comparto tecnico di Homefront dall’atipicità della trama scritta dai ragazzi di Kaos Studios e dalle molteplici possibilità di personalizzazione dell’esperienza di gioco, ciò che ci rimane è comunque un prodotto molto divertente in grado di soddisfare le esigenze degli appassionati con una narrazione unica nel suo genere e un modulo multiplayer che, sorretto dai server dedicati di THQ, risulta essere longevo e vario come pochi altri.

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Cosa ci piace
Cosa non ci piace
  • La trama, unica e ben presentata
  • Il multiplayer, vario e divertente
  • La rappresentazione visiva degli USA occupati
  • La scarsa longevità del singleplayer
  • La grafica, poco curata e piena di difetti
  • Perk e accessori in multiplayer mal calibrati

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