Nascosti dalla rilucente visiera della corazza Mjolnir, gli occhi imperscrutabili di John-117 hanno osservato alcune delle battaglie virtuali più avvincenti e memorabili della storia dei videogiochi: per questo, e per le odiose (ma logiche) campagne pubblicitarie multimilionarie portate avanti da Microsoft, l’iconica figura di Master Chief calamita da sempre le attenzioni di milioni di appassionati e di un numero altrettanto elevato di detrattori.
Divenuta leggenda per il taglio cinematografico della narrazione, per la frenesia delle sessioni di combattimento e per la grandiosità delle ambientazioni, negli anni la saga di Halo ha saputo innovarsi pur continuando a mantenere un suo carattere distintivo all’interno della dimensione sempre più affollata degli sparatutto in prima persona: il punto di svolta rappresentato dal passaggio di consegne tra i padri storici di Bungie (passati nel frattempo alla corte di Activision) e i ragazzi di 343 Industries ha però contribuito a ridare alla serie una dimensione più “umana”, sia per il ritorno di Master Chief che per il ricordo dei tragici eventi che, nel frattempo, hanno coinvolto gli Spartan nei due episodi intermedi di ODST e Reach.
Per le tante domande poste in questi mesi dai fan di lungo corso, per gli infiniti elementi grafici, tecnici e artistici da analizzare e per la curiosità famelica degli amanti degli sparatutto, quindi, evitiamo di indugiare oltre e chiudiamo questa breve introduzione per lasciarvi alla nostra recensione di Halo 4.
BENVENUTI SU REQUIEM
Per stessa ammissione delle alte sfere di Microsoft, l’opera prima dei 343 Industries nasce per unire idealmente la triplice avventura di Master Chief alla futura epopea che continuerà ad avere per protagonista quel colosso di John-117 sulla prossima generazione di console Xbox. Siamo infatti nel 2557 e il protagonista, scampato miracolosamente all’evento Halo che ha sconvolto il finale del terzo capitolo entrando in criostasi in uno dei pochi moduli criogenici dell’Aurora Nascente, viene risvegliato dalla sua fida “assistente eterea” Cortana per poter reagire celermente a un tentativo di “abbordaggio cosmico” portato da una pattuglia di alieni Covenant.
Superata la prima fase di “stabilizzazione” dei sistemi vitali della nave e una breve sessione di tutorial composta da una serie lineare di combattimenti studiati per permettere agli utenti di familiarizzare con l’originale interfaccia sensoriale integrata nella “nuova” corazza Mjolnir, tutto d’un tratto lo schema arcinoto dei colpi di teatro che hanno reso celebre la saga si ripete quando l’eroe, la sua nave alla deriva e tutti i vascelli Covenant nelle vicinanze vengono misteriosamente attratti da un gigantesco raggio gravitazionale generato da un’antichissima struttura attivatasi per non si sa quale ragione su Requiem, un pianeta-scudo realizzato millenni addietro dai Precursori per tentare di sfuggire agli effetti di annichilamento cellulare causati dall’impulso riverberatosi nella galassia all’accensione cataclismica dei sette Halo originari (costruiti, lo ricordiamo, per “sterilizzare” le forme viventi della Via Lattea a rischio di infezione da Flood).
Come se non bastasse il traumatico “atterraggio” su Requiem, ad alimentare ulteriormente il pathos narrativo delle fasi iniziali dell’avventura ci pensa Cortana annunciando al proprio “protetto”, con la voce rotta di una bambina e con gli occhi dolci d’una gattina cibernetica, di dover far fronte ai problemi di instabilità dovuti al raggiungimento dell’ottavo e ultimo anno di vita della sua unità di Intelligenza Artificiale. Lo stratagemma del malfunzionamento dell’IA di Cortana escogitato dagli autori di 343 Industries dà maggiore solidità alla trama e la trasforma in un vero e proprio cliffhanger emotivo in cui l’utente, nei panni di Master Chief, si vede costretto a trovare al più presto la strada che lo condurrà alla salvezza rappresentata, almeno nelle prime battute della campagna in singolo, dal segnale captato su Requiem della UNSC Infinity, la gigantesca nave-scuola per Spartan che ospita la dottoressa Helsey, l’unica persona in grado di ripristinare Cortana.
A rinsaldare il rapporto con la trilogia originaria di Halo troviamo poi la splendida web-serie di Forward Unto Dawn, solo indirettamente collegata ad Halo 4 ma di fondamentale importanza per avere una visione più chiara sugli eventi narrati dalle missioni appiedate, dalle scorribande su Warthog e dalle sessioni spaziali che compongono le oltre 15 ore di gioco (a un livello di difficoltà medio-alto) dell’avventura in singolo.
UN PRECURSORE È PER SEMPRE
Senza nulla togliere alla bellezza poetica delle ambientazioni che incorniciano la trama della campagna principale in un susseguirsi di scene in cinematica, di filmati in computer grafica e di sessioni di combattimento spicciole, c’è un solo elemento di Halo 4 che riesce a rappresentare al meglio la bontà del canovaccio narrativo e le innovazioni del gameplay ed è quello relativo ai Promethean, i guerrieri ipertecnologici lasciati dai Precursori a difesa dei segreti custoditi tra le magnifiche strutture artificiali che imperlano le montagne e le valli fittizie di Requiem. È alla presenza dei Promethean, infatti, che dobbiamo buona parte delle aggiunte apportate dagli sviluppatori americani per differenziare il loro prodotto dall’esperienza di gioco e dall’evoluzione narrativa dei capitoli partoriti da Bungie.
Essendo stati creati dalla civiltà più avanzata dell’intero universo storiografico e letterario di Halo, i guerrieri Promethean riprendono l’asciutto ed essenziale stile artistico delle installazioni e dei manufatti dei loro “creatori”: l’apparente “semplicità” dei modelli squadrati che compongono queste oscure creature cibernetiche nasconde però la straordinaria complessità dei loro comportamenti e, soprattutto, delle loro armi. La rigida suddivisione gerarchica tra le varie classi di Promethean si produce in un caleidoscopio di situazioni di gioco di una ricchezza analoga (se non superiore) a quella regalata dalle battaglie con gli alieni Covenant: dai droni di riparazione agli aracnidi meccanici capaci di muoversi sulle pareti verticali, passando per i droidi cecchini e le “truppe d’assalto” d’alto rango dotate di un modulo per il teletrasporto su brevi distanze, le sessioni di combattimento con queste creature sono una sorpresa continua e permettono all’utente di rendere meno “monotoni” gli scontri con i Covenant.
Sempre ai Promethean dobbiamo inoltre la presenza di nuovi elementi d’equipaggiamento che permettono di ampliare a dismisura le possibilità strategiche e “ludiche” dell’avventura in singolo: le armi a impulsi, che possono essere raccolte dai cadaveri delle enità cibernetiche e che vanno ad affiancarsi a quelle terrestri e aliene già conosciute dai cultori della serie, non si limitano ad offrire una capacità e un rateo di fuoco maggiore ma, al contrario, regalano un “feedback” atipico con una curva d’apprendimento piuttosto ripida, specie per chi è a digiuno di titoli della serie di Halo o per chi, al contrario, ha passato gli ultimi anni a specializzarsi nell’uso di un solo fucile. Così come per le armi prometeiche, anche i nuovi potenziamenti “speciali” ottenibili nelle antiche installazioni dei Precursori riprendono i “vecchi” moduli tattici di Reach per reinterpretarli integrandovi, ad esempio, degli efficaci scudi respingenti, delle sentinelle volanti automatiche e un utilissimo visore.
L’introduzione ex-novo di un’intera categoria di nemici da affiancare ai Covenant nella campagna in singolo e agli Spartan nelle partite multiplayer competitive, però, ha determinato un’evidente frattura nelle routine comportamentali che regolano l’intelligenza artificiale dei nemici comandati dalla CPU tanto in singolo quanto in rete: sia per i Covenant che per i Promethean, il comportamento degli avversari è limitato alla sola gestione dei danni e si produce in una serie di reazioni piuttosto blande e prevedibili di mosse scriptate per ogni tipologia di nemico. Una pecca, quest’ultima, che comunque viene mascherata dalla grande “eterogeneità gerarchica” di alieni e di “mummie cibernetiche” affrontabili.
MULTIPLAYER
Terminata l’avventura di Master Chief, l’esperienza di gioco di Halo 4 prosegue alacremente sui server di Microsoft con il doppio modulo competitivo e cooperativo messo in piedi dagli sviluppatori di 343 Industries con lo stratagemma narrativo della simulazione virtuale operata nel centro di comando della Infinity, l’astronave ammiraglia della flotta interplanetaria della UNSC terrestre. Tolta l’opzione che consente agli utenti di lanciarsi nella campagna in singolo in compagnia di un proprio amico online, la vera novità cooperativa di Halo 4 sta nella sostituzione delle Sparatorie e delle mappe Firefight di Reach con le Spartan Ops, delle missioni di una campagna a se stante che illustra gli eventi che coinvolgono i membri di una squadra di soldati Spartan scesa su Requiem prima del loro “collega” John-117 e della sua inseparabile compagna virtuale. Ogni episodio di Spartan Ops consta di cinque missioni dalla longevità approssimativa di un quarto d’ora ciascuna: alla prima Stagione (composta di dieci episodi) ne seguiranno altre nel corso dei prossimi mesi e, pur essendo delle “appendici a pagamento” di Halo 4, andranno comunque a rappresentare nel loro insieme una sorta di “gioco nel gioco” con cui approfondire la trama del singleplayer, esplorare ambientazioni sconosciute e affrontare orde di Promethean e Covenant assieme a un massimo di altri tre utenti su Xbox Live.
La simulazione della UNSC Infinity che si occupa di ricreare il campo d’addestramento digitale degli Spartan nei combattimenti competitivi, invece, si sgancia dalla campagna in singolo e dalle missioni Spartan Ops per rientrare nella tentacolare offerta delle 13 mappe e delle 11 modalità con regole customizzabili di Giochi di Guerra. Le ambientazioni proposte spaziano dalle rivisitazioni delle mappe storiche della serie alle arene inedite ambientate in superficie o nelle profondità di Requiem, mentre per quanto riguarda le modalità, pur cercando di rimanere “sul vago” per non rovinarvi il piacere della scoperta, citiamo l’ingresso di nuove opzioni per le partite Massacro e la presenza delle inedite modalità Regicidio, Dominio e Flood. Ma le novità non finiscono certo qui.
Sulla falsariga dello stile adottato per dare forma ai menù del singleplayer, infatti, gli sviluppatori americani hanno provveduto a rendere più asciuta e funzionale l’interfaccia dei Giochi di Guerra rispetto all’omologa sezione multiplayer di Reach: l’intervento dei 343 Industries si nota soprattutto nella velocità di accesso alle partite multiplayer e alla facilità con cui è possibile modificare l’equipaggiamento e l’aspetto del proprio alter-ego attraverso un’apposita slide richiamabile da qualsiasi punto del menù tramite la semplice pressione di un tasto.
Sempre collegati agli elementi di personalizzazione di Giochi di Guerra ritroviamo infine la Fucina e il Cinema, ossia i due piccoli grandi elementi con cui creare delle nuove arene partendo dalle mappe già preesistenti e con cui condividere (sia sul Live che sul sito ufficiale di Halo 4), le registrazioni delle proprie mirabolanti gesta e le relative immagini.
GRAFICA E SONORO
Spinto da una versione largamente rivista dell’engine grafico impiegato negli anni scorsi da Bungie, il comparto tecnico di Halo 4 prende le distanze dal “grigiore realistico” di Reach per riabbracciare uno stile più vicino a quello della trilogia maggiore: la palette cromatica è più viva e pulsante, i modelli poligonali dei nemici e dei personaggi a schermo sono sensibilmente più ricercati e l’uso massiccio degli effetti particellari contribuisce a dare ad ogni ambiente un carattere univoco. La sbalorditiva ampiezza dell’orizzonte, oltretutto, offre un affresco poetico che accentua ulteriormente il livello di immersione: si potrebbe stare per ore ad ammirare le strutture dei Precursori levitare in lontananza sulle pianure metalliche di Requiem. In alcuni casi si fa davvero fatica a capire come tutto questo possa girare su di una console vecchia di sette anni: l’illuminazione ambientale, in tal senso, gioca un ruolo fondamentale nell’affresco artistico offerto dalle missioni in singolo, dalle operazioni Spartan Ops e dalle sfide in rete. Gli unici aspetti “estetici” su cui ci sentiamo di criticare gli sviluppatori sono quelli relativi alla blanda texturizzazione di taluni ambienti naturali e, soprattutto, alla mancanza di vegetazione bassa (i canonici ciuffi d’erba) negli spazi all’aperto.
Davvero rimarchevole è inoltre il lavoro svolto dai 343 Industries in sede di realizzazione del comparto audio, anche se il passaggio dall’orchestra di Martin O’Donnell e Michael Salvatori a quella di Neil Davidge si fa “sentire” con l’abbandono delle care, vecchie melodie dei capitoli passati in favore di nuovi arrangiamenti sinfonici. Di livello medio-alto è poi il doppiaggio in italiano, di sicuro non “immersivo” come quello in madrelingua ma comunque in grado di assecondare la trama e di restituire con puntualità le emozioni degli eventi più determinanti del singleplayer.
COMMENTO FINALE
Con una serie infinita di accorgimenti presi per mantenere sempre fresca la formula magica che ha reso grande questa saga, i 343 Industries non raggiungono di certo i fasti del terzo episodio del 2007 ma riescono comunque a superare brillantemente il delicato periodo di transizione post-Bungie: gli squilibri narrativi, infatti, vengono mascherati da degli intermezzi slogamascella, la ripetitività delle sessioni di combattimento viene meno grazie all’ingresso dei guerrieri Promethean, la deficitaria intelligenza artificiale dei nemici viene riequilibrata dalla loro complessa struttura gerarchica e il multiplayer vive una seconda giovinezza grazie alle missioni Spartan Ops e a una generosa selezione di mappe e di modalità profondamente customizzabili.
Scremato degli inevitabili errori di gioventù commessi da un team chiamato a compiere una delle imprese più difficili della storia dei videogiochi (ossia quella di continuare la saga di Halo), il lavoro compiuto da chi ha dato alla luce Halo 4 strizza l’occhio a chi è cresciuto a pane e Master Chief e ha il merito di restituirci l’immagine di una proprietà intellettuale solida come la roccia immersa in una dimensione parallela capace di reinventarsi e, al tempo stesso, di rimanere fedele a se stessa per non perdere di vista le esigenze della sua sconfinata base di appassionati.
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