Dante è tornato, stavolta per davvero. Questo post non vuol essere una vera e propria recensione di Devil May Cry 3, ma si rivolge principalmente ai numerosi giocatori che dopo il primo buonissimo capitolo della serie sono rimasti delusi dalla mediocrità di Devil May Cry 2 e di conseguenza guardano con sospetto questa nuova incarnazione del ragazzo demone. Ma facciamo un breve riepilogo.
Siamo nel 2001 e Devil May Cry, parto della creatività di Shinji Mikami, creatore della serie Resident Evil, è uno dei primi giochi di “seconda generazione” per PS2 a mostrare le vere potenzialità della console, vantando una veste grafica sontuosa, un sistema di combattimento frenetico ma piuttosto solido e mai monotono, nonché, ultimo ma non meno importante, un’atmosfera degna di un vero horror. Visto l’enorme successo riscontrato, ecco che dopo due anni arriva un sequel. Ma qualcosa purtroppo va storto: il gioco viene sviluppato da un team completamente nuovo e perfino lo stesso creatore Shinji Mikami viene escluso, ufficialmente a causa altri gravosi impegni in seno alla Capcom. Data la colossale importanza del progetto, la defezione del suo inventore suona molto strana, ed alcuni rumor, risultati poi infondati, arrivano a ventilare l’ipotesi di una rottura tra Mikami e la casa di Street Fighter. I risultati ottenuti da DMC2, soprattutto se confrontati con quelli del predecessore, del quale sembra poco più che un expansion pack, sono pessimi: alcuni aspetti della grafica sono peggiorati, la longevità è vergognosamente diminuita e, cosa che probabilmente affossa questo titolo più delle altre, la difficoltà di gioco viene ridotta in modo esagerato, rendendo l’avventura più simile ad una scampagnata sui prati che ad un incubo demoniaco. Ma è quando si finisce il gioco la prima volta e si sbloccano i nuovi costumi griffati Diesel (con tanto di marchio in bella vista sui menu) che crollano anche gli ultimi dubbi su DMC2: esso non è altro che una mera, squallida speculazione commerciale sul successo del primo episodio. A piangere è il giocatore, altro che il diavolo.
Tutto questo, però, appartiene al passato, ed il presente ci offre ben altro: nel terzo capitolo il cerchio riesce di nuovo a quadrare, e la mano di Mikami è lì a dirigere sapientemente l’orchestra. Pur non riuscendo più a stupire come quattro anni fa, la veste grafica torna a livelli di assoluta bontà, accompagnata da un game design più robusto, una difficoltà ottimamente calibrata, una longevità più che discreta ed un nuovo sistema che permette di cambiare gli stili di combattimento, ampliando il numero delle possibili variazioni di approccio al gioco. Cronologicamente parlando, Devil May Cry 3 si posiziona qualche anno prima del capostipite, e ciò spiega la regressione del protagonista sotto il punto di vista comportamentale: non ritroviamo lo spaccone che conoscevamo, magari più pacato e maturo (come poteva anche essere lecito aspettarsi), bensì un ben più irritante ragazzino egocentrico, esibizionista e talmente tamarro da rasentare la ridicolaggine. Le cut-scenes sono fra le più sborone che si siano mai viste nella storia, tanto che spesso riescono a far perdere un po’ di atmosfera al gioco, che già di per se forse non raggiunge i livelli visti in DMC1.
Il divertimento però non manca, ed una cosa comunque è certa: se avete amato il primo Devil May Cry, questo nuovo capitolo della saga non potrà che piacervi. Scusate se è poco.