Da Splinter Cell a Banjo-Kazooie, passando per Viva Pinata e Dead or Alive, sono tanti i videogiochi che in questi anni si sono avvicendati per “sponsorizzare” le piattaforme videoludiche della famiglia Xbox: col passaggio del team di Bungie alla corte di Activision, con la fuoriuscita di Peter Molyneux dagli studi Lionhead e con la progressiva “kinectizzazione” dei gloriosi studi Rare, però, ad oggi solo la saga di Forza Motorsport può dirsi autenticamente legata all’esperienza verdecrociata delle console Microsoft.
Maturati dalla forte contrapposizione coi Polyphony Digital e dal lungo processo creativo che ha portato la loro simulazione automobilistica a rivaleggiare ad armi pari con la serie “nemica” di Gran Turismo, gli autori di Turn 10 hanno così deciso di affiancare gli esperti ragazzi di Playground Games nello sviluppo di uno spin-off capace di unire il piacere e la libertà della guida autostradale al realismo di un ecosistema di gioco profondamente personalizzabile come quello che ha reso celebre il quarto capitolo della serie di Forza Motorsport.
Nella recensione di Forza Horizon che vi proporremo quest’oggi, quindi, cercheremo di sviscerare l’ultima creatura motoristica di Microsoft analizzandone gli aspetti grafici, artistici e ludici più importanti per capire se quest’esperimento “forzista” votato all’esplorazione merita o meno di essere tenuto in considerazione dagli amanti degli arcade racing e, più in generale, dai cultori dei giochi di guida su console.
ORIZZONTI DI GLORIA
Tolto il vasto ecosistema di gare, di sfide e di competizioni che contribuisce a formare l’impianto multiplayer di Forza Horizon, il punto focale attorno al quale gravita l’esperienza di gioco principale dell’ultimo titolo Playground è rappresentato dal Festival omonimo a cui saremo chiamati a partecipare nei panni di uno sprovveduto pilota della domenica intenzionato a dimostrare il suo talento a se stesso e, naturalmente, alle tante donzelle accorse da ogni parte degli Stati Uniti per assistere a questo evento annuale organizzato all’ombra dei Grand Canyon del Colorado.
La prima, grande sorpresa riservataci dal Festival Horizon è che si sviluppa in modo diametralmente opposto rispetto alla Carriera “classica” dei precedenti capitoli di Forza Motorsport: dal susseguirsi obbligatorio delle gare e dei mini-tornei a punti di FM4 si passa infatti a un campionato “aperto” in cui la scelta degli eventi da intraprendere, delle strade da imboccare e delle auto da utilizzare è a completa discrezione dell’utente. Dietro al caos apparente del modello open-world adottato dai Playground Games per dare forma alla carriera in singolo si nasconde però un ordine dotato di una sua solidità e coerenza: al centro della ragnatela di sfide a tappe, a cronometro e 1vs1 che si espande per tutta l’area di gioco esplorabile troviamo infatti il Campo Base del Festival, composto dal Garage di Dak (per potenziare le vetture in proprio possesso), dall’Autosalone (per comprare nuove auto), dalla Direzione Corse (per tenere traccia di ogni statistica del singleplayer e del multiplayer), dal Club Automobilistico (per entrare nei clan online o per crearne di propri), dal Marketplace (per acquistare contenuti aggiuntivi o Gettoni spendibili nell’Autosalone) e dal Centro Verniciatura (per dare vita a nuove livree e per salvare i gruppi di vinili).
L’offerta videoludica del Festival Horizon è talmente ampia da svilupparsi su più piani per comprendere le gare ufficiali (sbloccabili acquisendo i braccialetti e i punti messi a disposizione da ogni evento), le Sfide Sponsor (delle particolari azioni “spericolate” analoghe a quelle legate ai punti Kudos di Project Gotham Racing), le Sfide “libere” ai piloti incrociati per le strade del Colorado, le competizioni clandestine, la ricerca dei cartelli pubblicitari (per avere degli sconti sui potenziamenti), la scoperta dei centri distaccati per il trasporto rapido e la gestione del Livello di Popolarità, un particolare indicatore correlato al moltiplicatore ottenuto nelle azioni delle Sfide Sponsor per scalare la classifica degli oltre 250 piloti che partecipano a vario titolo al Festival.
Con l’ingresso di elementi presi di peso dall’esperienza open-world dei giochi di guida arcade “alla Burnout Paradise” assistiamo però all’inevitabile accantonamento di caratteristiche “note” dei vecchi capitoli di Forza Motorsport e, più in generale, dei titoli simulativi: il Garage di Dak, più di ogni altro aspetto di Forza Horizon, rappresenta a meraviglia il faticoso lavoro di sintesi cui si sono dovuti dedicare i Playground Games per limare le spigolosità di un prodotto da destinare a un pubblico più “immediato” di quello che ha seguito fino ad oggi l’avventura motoristica di FM.
Nel garage centrale del Festival (ma anche nel menù “di lancio” di ogni gara), infatti, è possibile modificare automaticamente le vetture in base alla classe IP necessaria per intraprendere l’evento selezionato. A prescindere da questo, però, purtroppo non ci si può dedicare all’elaborazione “profonda” di ognuno dei parametri configurabili su ciascuna categoria di potenziamento (nella fattispecie, Aerodinamica e aspetto, Gomme e cerchioni, Motore, Piattaforma e maneggevolezza, Trazione e Conversione). L’impossibilità di elaborare la propria auto viene però compensata dalla presenza di un sistema di salvataggio degli assetti, ossia delle parti sbloccate in ogni categoria di potenziamento. Tra le assenze più pesanti figura poi quella dell’Autovista, il modulo introdotto in Forza Motorsport 4 per consentire agli esteti delle quattro ruote di scendere virtualmente dal proprio bolide per studiarne ogni componente: col senno di poi, infatti, sarebbe stato davvero bello scendere dall’auto e fare una passeggiata per le sconfinate ambientazioni che dominano le strade di Forza Horizon.
PROJECT FORZA PARADISE
Dal modello di guida al sistema di progressione della carriera, ogni riga di codice di Forza Horizon riflette e rispecchia le esperienze lavorative pregresse dei Playground Games negli studi di sviluppo dei racing game più famosi del globo (Codemasters, Bizarre Creations, Criterion Games, Ubisoft Reflections, Slightly Mad Studios, Black Rock Studio). Nonostante i forti rimandi ai Kudos di Project Gotham Racing e alla struttura modulare delle sfide di Burnout Paradise di cui ci siamo occupati nel paragrafo precedente di questa recensione, sia con il Festival Horizon che con la sua omologa controparte online i ragazzi degli studi inglesi di Playground dimostrano comunque di rimanere saldamente ancorati alla tradizione della saga di Forza Motorsport, specie se analizziamo tutto ciò che ha a che fare con il gameplay spicciolo, a cominciare dalle infinite opzioni tra cui scegliere per modulare le impostazioni alla guida e alla difficoltà.
I parametri configurabili nell’esperienza di gioco, infatti, paradossalmente sono addirittura superiori a quelli di FM4, dal quale “discendono” le opzioni nell’utilizzo o meno dell’ABS, dello sterzo simulativo, del controllo della trazione, del cambio manuale o automatico, della visualizzazione della traiettoria e della possibilità di usufruire della funzione Riavvolgi. A far più rumore (in positivo) è però l’ingresso di un’opzione che consente agli utenti di scalare il livello di difficoltà dei piloti comandati dalla CPU in qualsiasi momento della carriera, inclusi gli istanti immediatamente precedenti l’inizio di un evento ufficiale del Festival o di una gara clandestina: ai livelli di difficoltà più elevati, ogni pilota virtuale avverte la nostra presenza e reagisce in conseguenza delle nostre azioni adottando delle rapide contromosse per modificare la velocità e la traiettoria di ingresso in curva, dosando il gas nei rettilinei o tentando di sbatterci molto poco sportivamente contro un guard rail per evitare di essere sorpassati.
Grazie alla profonda modularità delle opzioni personalizzabili della difficoltà e del gameplay, Forza Horizon si fa concavo o convesso in base alle necessità degli utenti: come e più che in FM4, infatti, la duplice esperienza arcade e simulativa garantita dalla scelta e dalla selezione dei parametri configurabili produce uno stacco significativo che trasforma ogni aspetto del modello di guida e del motore fisico atto a gestire l’aderenza degli pneumatici sullo sterrato, l’assetto nell’ingresso in curva alle velocità più elevate e il fenomeno di sotto e sovrasterzo dei bolidi a trazione anteriore o posteriore. Pur senza offrire lo stesso livello di realismo garantito dall’ultimo capitolo “maggiore” di Forza Motorsport, l’ultima creatura velocistica dei Playground riesce comunque a coccolare gli appassionati delle simulazioni riproponendo una visuale interna all’abitacolo e, soprattutto, la possibilità di impiegare un volante (da qui la capacità di modulare il livello di realismo nel comportamento dello sterzo). Da non disdegnare è invece l’integrazione con Kinect, anche se limitata ai “soli” comandi vocali e non, come in FM4, al modello di guida, all’Autovista e all’head tracking.
Fatta la dovuta tara tra le innovazioni legate all’impostazione open-world del Festival e le assenze sul piano della simulazione, l’esperienza di gioco di Forza Horizon dimostra comunque di possedere un carattere tutto proprio che gli consente di limitare i “danni” causati dalle pochezze di un comparto multiplayer poco “coraggioso” e dall’accantonamento forzato della fisica delle collisioni e degli elementi di customizzazione nell’elaborazione delle vetture.
MULTIPLAYER
Come in Burnout Paradise, l’impianto multigiocatore di Forza Horizon si riaggancia al Festival per ampliarne l’offerta videoludica con modalità uniche basate sulle gare online “classiche” e sugli scontri competitivi più esotici: a rinsaldare il rapporto tra le due anime in singolo e in rete del titolo Playground c’è poi il sistema di punteggio che consente agli appassionati di proseguire nella carriera guadagnando braccialetti, punti e livelli Popolarità rimanendo sempre connesso con i propri amici.
La presenza dei Club non riesce però a sopperire alla vistosa mancanza di opzioni cooperative e di gare multiplayer apposite: tolte le azioni spericolate da compiere in modalità libera per superare le Sfide Sponsor, infatti, gli unici svaghi concessi agli utenti di un clan sono rappresentati dalle gare competitive. Un vero peccato, se consideriamo le enormi potenzialità offerte da un’ambientazione così ampia e dall’esempio rappresentato dai Turn 10 con il terzo e il quarto capitolo della saga: l’assenza di tracciati chiusi, ad esempio, avrebbe potuto spingere gli sviluppatori inglesi dei Playground ad escogitare un editor con cui permettere agli appassionati di “disegnare” degli eventi personalizzati da condividere in rete o da giocare con i membri del proprio Club.
GRAFICA E SONORO
Tecnicamente parlando, i passi in avanti compiuti dai Playground Games rispetto ai capitoli di Turn 10 sono enormi ma “invisibili”: dal punto di vista della grafica fine a se stessa, le ambientazioni e le vetture di Forza Horizon non sono più dettagliate di quelle di FM4. Anche un occhio poco esperto può però rendersi conto degli enormi miglioramenti apportati dagli sviluppatori inglesi nella gestione del mondo di gioco: l’intera area percorribile del Colorado è gestita in streaming, le gare si caricano in pochissimi secondi e il framerate si mantiene stabile sui 30fps a prescindere dal numero di auto a schermo o dalla “velocità di crociera”. Sempre ai Playground va poi il merito di aver introdotto un sistema d’illuminazione dinamica (con annessa rifrazione dei raggi del sole sulle nuvole stagliate all’orizzonte) e, soprattutto, un ciclo giorno-notte tanto convincente da essere annoverato tra gli aspetti meglio riusciti dell’intera opera. L’interfaccia, oltretutto, risulta essere più fruibile sia nella visualizzazione dei tempi intermedi che nell’offrirci i dati sul moltiplicatore dei punti Popolarità e del tragitto impostato sul GPS della mappa virtuale. Gli unici punti critici del comparto tecnico di Forza Horizon sono quelli legati all’assenza dei danni strutturali e alle incongruenze nel modello fisico delle collisioni, quest’ultimo, però, volutamente “tagliato” dai Playground per non trasformare il gioco in una sorta di sanguinario remake di Carmageddon, vista la presenza del traffico e del pubblico a bordo pista.
La natura squisitamente open-world del titolo ha poi indotto gli sviluppatori inglesi a confezionare una colonna sonora estremamente ricca e variegata: dalle stazione radiofoniche di Horizon è infatti possibile ascoltare brani degli Arctic Monkeys, dei White Lies, degli Empire of the Sun, dei Black Keys e di tantissimi altri esponenti della scena dance, indie-rock ed electropop internazionale. Per motivi di spazio, invece, mancano i suoni specifici relativi al rombo caratteristico dei motori (e agli altri “rumori di servizio”) delle oltre 200 auto che affollano il garage digitale di Forza Horizon.
COMMENTO FINALE
Pur con tutti i cambiamenti apportati dai Playground Games, l’esperienza di gioco di Forza Horizon non s’allontana poi di molto da quella dei capitoli maggiori firmati da Turn 10: il modello di guida è rimasto sostanzialmente lo stesso di FM4 e l’ampio ventaglio di opzioni di personalizzazione degli aiuti di gara e della difficoltà riesce a soddisfare le richieste degli amanti degli arcade racing così come dei simulatori automobilistici su console.
A rendere davvero irresistibile questo progetto è però il modo in cui è stato integrato l’elemento sandbox rappresentato dalla libertà nella scelta dell’approccio da adottare per intraprendere le gare del Festival: dalle gincane scavezzacollo nel traffico per acquisire popolarità alle gare a tappe disputate in notturna all’ombra del Grand Canyon, ogni strada digitale del Colorado di Forza Horizon sprizza energia da ogni autovelox e pulsa al ritmo della splendida colonna sonora per restituirci l’immagine di un titolo tremendamente divertente e ricco di eventi in cui fiondarsi da soli o in compagnia dei propri amici in rete.
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