Immaginate di svegliarvi la mattina, di alzarvi dal vostro letto e di vivere perennemente con un mal di testa atroce che vi provoca allucinazioni terrificanti dalle quali potete salvarvi solamente dopo aver trovato una simpatica bambina che ve le provoca senza darvi un attimo di pace: la mancanza di punti di riferimento che potreste avere in questo particolarissimo caso, è la stessa che dà vita all’estraniante esperienza di F.E.A.R 2, in cui saremo chiamati a gestire un problema del genere nelle vesti di un soldato dei reparti speciali.
A distanza di quasi tre anni dall’ultima volta in cui la squadra speciale F.E.A.R. ha tentato di gestire le enormi potenzialità paranormali (e distruttive) della piccola Alma, sapranno tenergli testa per la seconda ed ultima volta riuscendo contemporaneamente a sopravvivere ai fantasmi che la medium evocherà per bloccarli?
Proviamo a scoprire insieme fino a che punto i ragazzi Monolith sono riusciti a spingersi in questo F.E.A.R. 2: Project Origin.
L’ORIGINE DELLA PAURA… NON HA ORIGINE
Nata a metà del 2005 su PC per poi essere riproposta successivamente su console next gen, la serie di F.E.A.R. è legata indissolubilmente al filone narrativo che vede il governo degli Stati Uniti intento nella creazione e nella gestione di spie ed agenti speciali capaci di utilizzare i propri poteri medianici per scopi militari e di difesa nazionale: se nella realtà questa pratica è stata solo in parte svelata e trova riscontro nelle testimonianze di diversi “insider”, dal punto di vista videoludico è innegabile il fascino che un plot narrativo del genere potrebbe avere sui giocatori.
La natura “oscura” dell’argomento citato pocanzi è stato ed è tutt’ora uno dei maggiori punti di forza della produzione Monolith, che a cominciare dal primo F.E.A.R. per arrivare a questo Project Origin punta ad emozionare il videogiocatore ancor prima di “spiegarli” la situazione che sta vivendo (anche perchè come si può spiegare esaurientemente la natura dei fantasmi o della telepatia?), tentando così di sfruttare un particolare tipo di filone narrativo in cui non ha importanza “cosa” racconti, ma “quali” sensazioni riuscirai a donare al lettore-videogiocatore.
Mai come nel caso di F.E.A.R. 2: Project Origin, l’assenza di una trama ben strutturata può essere addirittura salutare e congeniale agli intenti dei ragazzi Monolith, il cui evidente scopo non è quello di regalare “una storia” importante, ma è semplicemente quello di donare delle emozioni ed un terrore indimenticabili. Ed è qui che entra in ballo la bravura di Monolith nel mettere in piedi un impianto di gioco perfettamente adatto agli scopi degli stessi programmatori.
L’ALMA DEI MORTI VIVENTI
La sensazione principale che accomuna tutti i videogiocatori che hanno modo di provare F.E.A.R. 2 è quella di vivere in un opprimente inferno di metallo e cemento, in cui la sensazione di “sprofondare” in un vortice di pazzia e terrore permane a prescindere dalla strada che si intraprende durante il gioco.
Risalire un tunnel per tentare di “riveder le stelle” o scendere 20 piani con un ascensore il cui pannello coi pulsanti è imbrattato dai rimasugli di cervella di un replicante non fa differenza: l’Inferno è ovunque, perchè è all’interno del protagonista. La diabolica Alma non riesce a condizionare solamente la vita del soldato speciale che siamo chiamati ad impersonare, ma come nel capitolo precedente riesce ad imporre la propria volontà su tutta una serie di nemici fisici (i replicanti di cui sopra) incredibilmente astuti ed ostici dall’essere abbattuti a colpi di fucile.
Se però la nostra peggiore nemica può trarre forza dalle sue capacità medianiche, grazie al cielo il nostro fido eroe può esprimere il suo diritto alla vita attraverso le molteplici bocche da fuoco che può portare nel suo inventario, potendo altresì contare sulla famosa modalità “bullet time” per avere la meglio sui nemici rallentando il tempo per brevi istanti.
MULTIPLAYER
Decisamente coinvolgente e sufficientemente variegata la componente multigiocatore dello sparatutto Monolith. Il consistente numero di mappe a disposizione dei “fraggatori” permette di poter abbozzare delle tattiche di combattimento mediamente efficaci per avere la meglio sulla squadra avversaria: naturalmente viene anche data la possibilità ai giocatori di scontrarsi tutti contro tutti in uno stillicidio di teste che esplodono e gambe che saltano.
Il solido netcode di F.E.A.R. 2: Project Origin garantisce agli acquirenti di qualsiasi versione del titolo Monolith di entrare agilmente nel cuore dell’azione senza attese snervanti ed eterne (ogni riferimento a Gears of War 2 è puramente casuale). Pur non garantendo quell’emozione e quell’immedesimazione che è possibile provare nel singleplayer, la componente online di F.E.A.R. 2 è un giusto compromesso tra l’azione frenetica di taluni sparatutto e le tattiche ponderate di altri titoli simili.
GRAFICA E SONORO
Il motore di gioco Liththec, utilizzato per il predecessore e per i due Condemned, è promosso a pieni voti e si candida prepotentemente per essere il middleware grafico perfetto con cui far risaltare al meglio la componente oscura e tenebrosa di un videogioco moderno come F.E.A.R. 2: la gestione sapiente delle luci e (soprattutto) delle ombre esalta spropositatamente la sensazione di opprimente paura, trasformandola in terrore perenne ogni qual volta si utilizza la torcia della propria arma da fuoco. Pur senza avvicinarsi all’eccellenza grafica di titoli come Killzone 2, Project Origin si difende egregiamente riuscendo a gestire i nemici in movimento, gli oggetti distruttibili e le luci senza cali di framerate evidenti.
Il comparto audio del titolo Monolith stupisce in qualsiasi frangente di gioco, grazie soprattutto ai lamenti demoniaci e ai repentini cambi di colonna sonora in concomitanza con scene “paranormali” che richiedono un’alta dose di nervi saldi per essere superate: il doppiaggio italiano, diversamente dalle musiche e dall’impianto “rumoristico”, pur soffrendo di alti e bassi si assesta ad un livello sufficientemente adatto per non perdere la godibilità della trama e del pathos di gioco (da questo punto di vista, Gericho ha fatto tristemente storia).
COMMENTO FINALE
Quasi a volersi distanziare dalle due espansioni create da un team di lavoro indipendente rispetto a quello che ha dato vita al capitolo precedente e a questo seguito, i ragazzi di Monolith hanno preferito adottare un approccio decisamente più “emotivo” per la stesura della trama, che ora non presenta più dei punti di interesse focali attorno ai quali sviluppare il prosieguo dell’azione di gioco: F.E.A.R. 2 è un sapiente mix di sensazioni e di paure che preferisce tenere incollati i videogiocatori allo schermo durante le battaglie piuttosto che durante gli intermezzi filmati.
L’immedesimazione e, se vogliamo, la sperimentazione con cui i Monolith si sono cimentati per la costruzione di una trama emozionale prima ancora che emozionante, finiscono col penalizzare paradossalmente proprio la giocabilità, garantendo ai videogiocatori la frenesia degli scontri a fuoco che hanno reso immortale il predecessore ma privando il seguito di un naturale slancio evolutivo che avrebbe reso F.E.A.R. 2 un capolavoro a tutto tondo.
La natura stessa di Project Origin, per come è stato prima ideato e poi creato, garantisce lo stesso grado di immedesimazione e le stesse emozioni sia a chi ha già avuto modo di conoscere Alma nel capitolo precedente, sia a tutti coloro che si apprestano ad avvicinarsi alla serie solo ora. Proprio per questo, e per la moltitudine di altri fattori che rendono grande l’ultima fatica Monolith, ci sentiamo di consigliare F.E.A.R. 2 a tutti gli amanti di sparatutto in prima persona, a tutti gli appassionati di horror e a tutti coloro che adorano sentire la schiena pervasa da forti scariche d’adrenalina… così come ne sconsigliamo l’acquisto a chi non riesce a sopportare la mancanza di una trama ben delineata o a chi è alla ricerca di un titolo la cui storia sia più importante del modo in cui viene narrata.