Far Cry 3: la recensione

Far Cry 3: il "paradisiaco inferno" di Rook Island apre i battenti. Gamesblog.it recensisce per voi l'ultima avventura open world di Ubisoft Montreal
Far Cry 3: la recensione
Far Cry 3: il "paradisiaco inferno" di Rook Island apre i battenti. Gamesblog.it recensisce per voi l'ultima avventura open world di Ubisoft Montreal

La serie di Far Cry ha avuto da sempre un posto speciale nel cuore degli appassionati di sparatutto in prima persona: l’assenza di interconnessioni dirette nel canovaccio narrativo dei diversi capitoli ha concesso ai cultori della saga il lusso di immedesimarsi appieno nel ruolo del protagonista di turno elevando all’ennesima potenza il divertimento garantito dalle sessioni open-world, vera ragion d’essere dell’epopea digitale di Crytek prima e di Ubisoft Montreal poi.

Sopravvissuta al faticoso passaggio di consegne tra l’azienda tedesca di Cevat Yerli e la multinazionale videoludica d’oltralpe, l’avventura digitale di Far Cry ha però subito una brusca “decelerazione qualitativa” con il secondo capitolo dato alle stampe sul finire del 2008: l’abbandono delle ambientazioni tropicali in favore di un setting africano, unito a una trama senza mordente, a una campagna ridondante e a un modulo sandbox ripetitivo, ha depresso non poco le speranze di buona parte degli appassionati di lungo corso. Consci di ciò, gli Ubi hanno così speso gli ultimi quattro anni per ridare centralità al progetto adoperandosi in funzione di una maggiore originalità autorale e di un corposo ampliamento del ventaglio di azioni “libere” da poter intraprendere.

Per le enormi aspettative venutesi a creare attorno a Far Cry 3, quindi, ci siamo presi il tempo necessario per studiare tutti gli elementi che contraddistinguono l’esperienza di gioco in singolo, l’avventura cooperativa e la modalità multiplayer: quella che vi proporremo, perciò, sarà un’analisi a tutto tondo che tenterà di andare “oltre” i giudizi entusiastici ed eccessivamente acritici della stampa di settore per cercare di scoprire davvero quanto possa valere l’opera della sussidiaria canadese di Ubisoft attraverso la recensione che v’attende subito dopo il salto.

PICCOLI RIVOLUZIONARI CRESCONO

Accompagnata da alcune frasi “ad effetto” estrapolate da “Alice nel Paese delle Meraviglie” (nella sua versione originaria di Lewis Carroll), l’avventura in singolo di Far Cry 3 non si perde in convenevoli e ci scaraventa immediatamente in un vortice di violenza dove tutti hanno un prezzo e nulla è come appare: una volta superata la breve fase introduttiva, bastano infatti pochi istanti per accorgersi che dietro al lussureggiante arcipelago del sud-est asiatico scelto da Jason Brody e dai suoi amici per una vacanza all’insegna degli sport estremi si cela in realtà una dimensione oscura popolata da bestie feroci e da criminali d’ogni sorta. Il punto nodale dell’esperienza narrativa di Far Cry 3, difatti, è rappresentato solo ed esclusivamente dal commercio di schiavi che, assieme al traffico di armi e di droga, anima tutta la criminalità organizzata di Rook Island: a dispetto di quanto saremmo portati a credere data questa premessa, però, la campagna singleplayer non si sviluppa in maniera lineare sulle azioni da intraprendere per sradicare le organizzazioni criminali di Rook Island ma, al contrario, si incardina su diversi “fattori scatenanti” legati alla necessità di salvare gli amici di Jason, di vendicare la morte di coloro che cadranno vittima delle gang e di intrecciare un rapporto di collaborazione con i rivoltosi e le tribù native.

Sia per quanto riguarda la trama che per tutto ciò che ha a che fare con la giocabilità spicciola, a far da persistente sottotraccia agli eventi che si susseguono nella campagna principale troviamo così la follia omicida e la lotta per la sopravvivenza, due elementi rappresentati a meraviglia dal sistema di gioco open world escogitato dagli Ubisoft Montreal e dal carattere “atipico” degli incontri che Jason è costretto a tenere durante l’avventura. L’atteggiamento sprezzante tenuto dagli antagonisti (su tutti lo psicopatico Vaas e l’assassino senza scrupoli Hoyt Volker), nonché la profondità caratteriale degli attori secondari che s’avvicendano sul teatro di posa virtuale della campagna principale sono i due punti qualificanti della storia di Far Cry 3.

Far Cry 3: galleria immagini

Anche quando ci si spinge nelle sessioni sandbox più “esterne” alla trama, il contesto narrativo rimane infatti estremamente solido in virtù della presenza di individualità consolidate che, seppur poco “credibili”, riescono comunque a sorprenderci e a rimanere impresse nella memoria degli utenti per i tanti colpi di scena che, con le missioni affidateci di volta in volta, garantiscono all’avventura fino alle sue battute finali.

Nonostante la centralità della storia sulle dinamiche di gioco in singolo di Far Cry 3, la parte più consistente del gameplay della campagna principale ricade inevitabilmente nel calderone delle azioni “libere” da poter compiere nei panni di Jason Brody (un aspetto di cui ci occuperemo per esteso nel prossimo capitolo di questa recensione). Da questo punto di vista, i passi in avanti compiuti dagli sviluppatori rispetto al capitolo precedente sono evidenti: più che per l’originalità o per la varietà delle missioni secondarie e di tutti gli altri compiti “accessori”, ciò che colpisce del modulo sandbox di Far Cry 3 è il “metodo” adottato dagli Ubisoft Montreal per intrecciare l’esperienza esplorativa agli eventi predeterminati della trama. Le ricadute più importanti di questo “stratagemma di sviluppo” sono sulla profondità di gioco: per riuscire a sopravvivere alle missioni più pericolose dell’avventura, specie se intrapresa al massimo livello di difficoltà e senza “aiuti” (su tutti quello della mira assistita), bisogna dedicarsi in parallelo a un numero equivalente di compiti secondari per migliorare l’equipaggiamento e per maturare l’esperienza del proprio alter-ego. Anche per questo, all’atto pratico le 25-30 ore di longevità “effettiva” di Far Cry 3 (escluso il multiplayer competitivo e la campagna cooperativa) fanno somigliare l’ultima opera degli Ubi più ad un gioco di ruolo occidentale che non ad un “semplice” sparatutto in prima persona.

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UN TATUAGGIO È PER SEMPRE

L’esperienza di gioco di Far Cry 3, come abbiamo avuto modo di anticipare nel precedente paragrafo, viaggia sul duplice binario della linearità del canovaccio narrativo e della libertà esplorativa volta alla “maturità” del protagonista. In risposta alle critiche avanzategli da chi non ha gradito gli attacchi malarici e la deperibilità delle armi giocando al secondo capitolo della serie, gli sviluppatori di Ubisoft Montreal hanno deciso di accantonare questi due specifici elementi di gameplay per introdurre in loro sostituzione una ben più ricca gestione simil-ruolistica del livello del proprio alter-ego mediante l’acquisizione di punti abilità materializzatisi nella forma di un Tatau, un “tatuaggio di potere” concesso dai membri della tribù dei Rakyat come simbolo della Via del Guerriero intrapresa da Jason per salvare i suoi amici.

I poteri del Tatau rispecchiano la frastagliata e ricca enciclopedia che compone il “linguaggio di gioco” di Far Cry 3: ogni abilità, infatti, si rifà agli archetipi magici dell’Airone (per le uccisioni a distanza e per il movimento), dello Squalo (per le azioni d’assalto “dirette” e per la cura) e del Ragno (per gli abbattimenti furtivi e per tutto ciò che ha a che fare con la sopravvivenza). Da essi, il giovane Jason trae la forza e le conoscenze arcane necessarie per uccidere di soppiatto i nemici o per realizzare siringhe con gli unguenti naturali e gli estratti delle piante raccolte, ma anche per resistere maggiormente al dolore o per eseguire azioni “speciali” (ad esempio, saltando addosso a un soldato o trascinando il corpo di un nemico in un’area lontana da sguardi indiscreti).

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Di modi per accumulare esperienza, per migliorare l’equipaggiamento e per proseguire nell’avventura, la campagna principale di Far Cry 3 ne offre un’infinità: assieme alle immancabili missioni rientranti nell’alveo della linea narrativa maggiore abbiamo infatti le sessioni di ricerca degli oggetti “di valore” rintracciabili su Rook Island (come le memory card dei narcotrafficanti, le lettere dei soldati giapponesi morti durante la Seconda Guerra Mondiale e le relique sacre dei Rakyat), gli eventi estemporanei a generazione randomica (come la difesa di un convoglio di insorti attaccato dagli sgherri di Vaas, da una belva feroce o dai mercenari di Hoyt), le Prove dei Rakyat (delle prove speciali con armi prestabilite e classifiche online), l’attivazione delle torri radio (per sbloccare le porzioni di mappa) o le sessioni di caccia e raccolta.

Di tutte le azioni da poter compiere parallelamente alla campagna in singolo, la più importante è però quella relativa alla liberazione degli avamposti dei mercenari e dei criminali “comuni” sparsi a macchia d’olio su tutto il territorio: una volta raggiunto l’obiettivo, infatti, si riesce a rendere l’area più sicura, si guadagna un cospicuo gruzzolo di XP, si sblocca il relativo rifugio da poter riutilizzare in futuro per gli spostamenti rapidi e, ultimo ma certamente non per ordine di importanza, si guadagna il rispetto dei ribelli necessario per occuparsi dei loro problemi rappresentati da un particolare animale “raro” o, magari, da un contingente residuo di nemici da dover abbattere solo ed esclusivamente con un coltello, come la millenaria tradizione dei Rakyat impone.

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Le missioni di liberazione degli avamposti hanno poi il merito di mettere in risalto il duplice carattere del sistema di combattimento disegnato dagli sviluppatori canadesi di Ubisoft: da un lato l’approccio diretto con le armi pesanti, il lanciafiamme e gli esplosivi, dall’altro quello “ninja” con l’impiego dei fucili di precisione e delle pistole silenziate, delle uccisioni ravvicinate con il coltello e di tutti gli accorgimenti da dover prendere per evitare l’attivazione dell’allarme del campo (con conseguente arrivo dei rinforzi su due o più camionette)

A prescindere dalla grande varietà di armi e di esplosivi utilizzabili da Jason, comunque, l’aspetto meglio riuscito delle meccaniche di gioco è quello rappresentato dalle dinamiche stealth: la linea visiva dei nemici, ad esempio, risente dell’altezza del fogliame, del rumore dei nostri passi, del suono scaturito dal lancio di un sasso come diversivo temporaneo e persino della postura (accucciandosi nell’erba o tra gli arbusti). Il lavoro compiuto in tal senso dagli Ubisoft Montreal con la serie di Assassin’s Creed riecheggia nell’universo digitale di Far Cry 3 come una leggera ma presistente brezza marina: la maggior parte delle abilità sbloccabili dal nostro alter-ego, difatti, trova ispirazione diretta nelle gesta degli avi di Desmond Miles.

Oltre a questo persistente (e a tratti fastidioso) senso di deja-vu “assassino”, ci sono altri aspetti del titolo che non riescono a convincerci del tutto nonostante lo sforzo profuso dagli Ubi: la gestione dei “ripari intelligenti” con la possibilità di sparare automaticamente da dietro un riparo senza sporgersi, ad esempio, non è stata ben implementata nel gameplay e risulta essere appena abbozzata, e questo a dispetto delle promesse fatte a più riprese dagli sviluppatori nel corso dell’ultimo anno. Un’altra critica che muoviamo agli autori canadesi è quella inerente l’eccessiva facilità con cui è possibile creare le borse mediante le pelli acquisite nelle sessioni di caccia: nonostante la longevità tendente all’infinito della campagna in singolo, bastano infatti poco meno di 5 ore per riuscire a sbloccare la stragrande maggioranza delle borse, delle faretre, delle giberne e degli zaini con cui trasportare un numero superiore di munizioni, di oggetti o di siringhe. Un approccio più accorto e “severo” avrebbe di certo aiutato gli sviluppatori a rendere più intriganti le sessioni di caccia e d’esplorazione pura.

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MULTIPLAYER

L’esperienza di gioco multiplayer di Far Cry 3 si suddivide equamente tra l’avventura offerta dalla campagna cooperativa e gli scontri cooperativi garantiti dall’apposito modulo in rete. Affrontabile sia online che sulla stessa console mediante l’opzione a schermo condiviso per un massimo di quattro giocatori, la campagna cooperativa anticipa di sei mesi il “paradisiaco inferno” di Jason Brody per consentirci di porre a compimento la vendetta orchestrata dai quattro membri di un equipaggio venduto dal loro capitano all’organizzazione dei mercenari di Hoyt. Nonostante la linearità delle missioni e la limitata libertà d’esplorazione offerta dai sei capitoli della co-op, quest’ultima riesce comunque a mantenersi sugli alti livelli qualitativi della storia in singolo grazie soprattutto alla varietà delle azioni da intraprendere e alla ricchezza delle ambientazioni.

Per quanto riguarda il multiplayer competitivo, invece, oltre all’ormai immancabile sistema per la personalizzazione del proprio alter-ego con suddivisione in classi e in livelli di esperienza, non si può non citare l’introduzione delle Mosse Finali (delle simpatiche scenette che alla fine di ogni scontro hanno per protagonisti i vincitori e i vinti della battaglia), delle Urla di Guerra (degli attacchi speciali che contribuiscono ad aumentare temporaneamente i valori dei membri della propria squadra) e di modalità orientate alle dinamiche sandbox come Rogo (una sorta di Re della Collina con in più la possibilità di appiccare degli incendi per bloccare ogni via di fuga) e Trasmissione (con le squadre impegnate a contendersi il controllo dei trasmettitori sparsi per la mappa).

Tra gli elementi distintivi dell’offerta in rete di Far Cry 3 figura poi il poliedrico editor di livelli implementato dagli Ubisoft Montreal per garantire ai giocatori più creativi l’opportunità di plasmare delle missioni inedite in ambientazioni completamente customizzate, dalla scelta dei fattori climatici alla collocazione dei punti di interesse, fino ad arrivare alla mappatura delle texture ambientali e al design dei complessi di edifici (dai villaggi costieri alle rovine dei Rakyat).

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GRAFICA E SONORO

Pur senza riuscire a slogare la stessa quantità di mascelle del capitolo originario, con Far Cry 3 gli sviluppatori canadesi di Ubisoft raggiungono comunque un risultato straordinario: il fascino dell’arcipelago tropicale ricreato dal team di artisti e designer di Montreal ha l’effetto del canto d’una sirena, e questo a prescindere da tutte le (seppur sacrosante) considerazioni del caso dovute al mancato ricambio generazionale nel settore delle console casalinghe. Se su PC il “DNA tedesco” del Dunia Engine 2 (derivato dal CryEngine 3) garantisce al titolo una duttilità tale da poter essere apprezzato da qualsiasi appassionato indipendentemente dalla configurazione hardware del proprio computer da gioco, su Xbox 360 e PlayStation 3 il motore grafico garantisce l’impiego massiccio degli effetti particellari, dell’illuminazione dinamica, degli shader e di una pletora infinita di texture e di modelli poligonali.

A parte qualche saltuario calo di framerate, inoltre, la fluidità di gioco ha davvero del miracoloso se consideriamo la vastità della mappa, l’ampiezza di visuale e le migliaia di oggetti, di animali e di nemici osservabili a schermo. L’unica critica che possiamo muovere in tal senso, oltre ai proverbiali glitch che colpiscono tutti i titoli di chiara vocazione open world, è dovuta però a un’oggettiva ripetitività degli ambienti naturali: a prescindere dalla latitudine e dall’altitudine in cui ci si trova, infatti, il colore predominante è e rimane sempre il verde della giungla. Un po’ di varietà paesaggistica, data l’ampiezza dell’area di gioco, di certo avrebbe giovato alla causa.

Sulla falsariga del comparto grafico troviamo poi l’ottimo lavoro compiuto da chi si è dovuto occupare dell’audio e della colonna sonora, con il doppiaggio (completamente in italiano) a fare la parte del leone per l’ottima interpretazione data alle frastagliate sfumature caratteriali dei personaggi principali dell’avventura in singolo (Vaas su tutti).

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COMMENTO FINALE

In Far Cry 3, la libertà d’esplorazione è in funzione dello sviluppo della trama, e viceversa. Ricca di sfumature e godibile anche nelle fasi di gioco più avanzate, l’ultima creatura degli Ubisoft Montreal manda a briglie sciolte l’immaginazione dell’utente e abbatte il muro che ci divide dalla rigogliosa vegetazione ammirabile dall’altra parte dello schermo.

Ballando tra la disperazione, la rabbia e la pura follia, il canovaccio narrativo steso dagli autori canadesi attorno alla figura di Jason Brody s’approccia al genere degli action sandbox con lo spirito di un ipotetico Assassin’s Creed piratesco in prima persona che dona un fascino cristallino alle mille tonalità di verde che dipingono l’immenso prato del gameplay in singolo di Far Cry 3 assieme alla splendida campagna cooperativa, al godibile multiplayer competitivo e al poliedrico editor di livelli.

Cosa ci piace
Cosa non ci piace
  • Longevo e godibile anche nelle fasi di gioco più avanzate
  • La solidità narrativa e la varietà delle azioni da intraprendere nel singleplayer
  • Tecnicamente, graficamente e artisticamente solido come la roccia
  • Co-op ben congegnata
  • Il lacunoso sistema di creazione di borse, giberne e zaini
  • Le poche innovazioni del multiplayer competitivo
  • I piccoli glitch che macchiano le scene in cinematica e le sessioni di gameplay più “pesanti”

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