Complice un’iniziale strategia di marketing non particolarmente felice e volta quasi esclusivamente a smontare l’iconica figura di Dante, l’avventura intrapresa da Capcom con DmC: Devil May Cry non è nata sotto i migliori auspici. Ponendo l’accento sulla trasfigurazione in salsa emo dell’eroe della saga e non, come invece avrebbero dovuto fare, sulle novità stilistiche o su quelle relative all’impianto di gioco, le alte sfere dello storico publisher nipponico hanno dato adito a una serie di incomprensioni trascinatesi sino al giorno della diffusione della demo, avvenuta alla fine dello scorso anno.
La sorprendente esperienza avuta con la versione dimostrativa ha così diradato le nubi temporalesche addensatesi attorno a questo progetto per colpa della sciagurata “contropubblicità” fatta da Capcom nei lunghi mesi d’attesa per l’uscita di DmC: ora che il titolo è giunto finalmente nei negozi di mezzo mondo e può essere giudicato per ciò che è (e non per ciò che “sembrava”), andiamo quindi a calarci nei panni di Dante per offrirvi il nostro punto di vista sull’opera data alla luce dai ragazzi di Ninja Theory per ridare dignità videoludica a una saga che, come suggerisce il geniale lavoro compiuto dagli uomini marketing della casa madre, se fosse rimasta in Giappone sarebbe andata incontro, con ogni probabilità, a un destino a dir poco nefasto.
DI DANTE IN DANTE
Raccolta la pesante eredità di Hideki Kamiya e del suo staff, i Ninja Theory hanno ben pensato di abbandonare il Dante giapponese al suo passato per reimmaginarlo da zero costruendovi attorno una nuova impalcatura narrativa. La dimestichezza degli sviluppatori inglesi nella realizzazione di action “di confine”, basti guardare a ciò che hanno fatto in passato con Heavenly Sword ed Enslaved, trova diretta manifestazione nell’approccio autorale adottato nella stesura delle scene d’intermezzo (soprattutto quella iniziale) e nella direzione artistica dei video in cinematica che accompagnano l’apertura e la chiusura di ciascuno dei venti capitoli in cui è suddivisa la trama.
L’ombroso guerriero dai capelli argentei e dallo sguardo imperscrutabile conosciuto fino a ieri nelle opere interattive di Capcom viene così reimmaginato dai Ninja Theory, almeno nelle battute iniziali dell’avventura, come un giovane e moderno dongiovanni abituato a passare le notti in compagnia di una o più donne: un idillio, quest’ultimo, spezzato dall’avvento delle forze del male impossessatesi del suo mondo per reclamare quante più anime possibile attraverso il subdolo piano di controllo dei media e dei mercati azionari ordito dal demone Mundus con l’aiuto del suo esercito di creature demorfi.
Figlio di una splendida “angiolessa” dai capelli rosso fuoco (Eva) e di un demone ribellatosi ai suoi “superiori” per vivere un’esistenza “terrestre” assieme alla sua dolce e alata metà (Sparda), lo sprovveduto e svampito donnaiolo ritratto in maniera caricaturale nel trailer di lancio dell’avventura diviene così il punto focale dell’intera struttura narrativa per la necessità, manifestata da Mundus uccidendo la madre e imprigionando il padre, di annientare Dante (e suo fratello Vergil) prima che questi ultimi riescano a rispedirlo all’Inferno utilizzando i poteri derivanti dalla loro discendenza ultraterrena.
La necessità di fare i conti con il proprio doloroso e pesante passato spingerà quindi il “nuovo” Dante a imbarcarsi in un pericoloso viaggio volto alla riscoperta dei suoi poteri di natura angelica e demoniaca attraverso una serie di viaggi nel Limbo, una dimensione analoga al nostro piano fisico ma posta a metà strada tra il reame superiore e quello inferiore. La spinta innovatrice dei ragazzi di Ninja Theory segue così un percorso introspettivo che, dipanandosi in una serie di visionarie missioni di cui preferiamo non svelarvi nulla per non rovinarvi il piacere della scoperta, si pone in diretta contrapposizione con l’approccio lineare che ha caratterizzato i precedenti capitoli della saga di Devil May Cry.
Le scelte narrative degli autori inglesi, in questo modo, non si limitano a disegnare le ambientazioni e l’aspetto stilistico che queste ultime assumono di volta in volta, ma vanno a impattare sulla struttura di gioco contribuendo a tutte le innovazioni di cui ci occuperemo per esteso nel prossimo paragrafo di questa recensione.
LE VIE DEL LIMBO SONO INFINITE
Nel surreale e indescrivibile universo multidimensionale di DmC: Devil May Cry, la trama e il gameplay si sorreggono a vicenda per dare vita a un’avventura ricca di colpi di scena e di momenti spiazzanti. Per porre fine all’atteggiamento conservatore e autoreferenziale che ha strozzato l’esperienza di gioco dei precedenti quattro capitoli del “filone originario” della saga, i creativi di Ninja Theory hanno riscritto daccapo gran parte degli elementi noti della passata architettura eretta da Capcom nel sistema di combattimento, a cominciare dalla prima e, forse, dalla più importante delle innovazioni introdotte dagli sviluppatori di Cambridge per esprimere nel miglior modo possibile la doppia condizione angelica e demoniaca del protagonista.
Come ogni Nefilim, infatti, il giovane Dante è in grado di attingere all’immensa forza spirituale dei reami superiori e inferiori per incanalarla nella sua spada, la leggendaria Rebellion, donandogli dei poteri soprannaturali tanto intensi da indurre il tessuto spazio-temporale del mondo fisico a ripiegarsi sul Limbo, e viceversa. A prescindere da tutte le considerazioni di natura psicologica ed esoterica a cui molti, in questi giorni, si stanno dedicando quasi per scherzo sui forum e sui fansite più seguiti di Devil May Cry, dal “semplice” punto di vista delle dinamiche di gioco le possibilità offerte dall’adozione di questo sistema sono così ampie da aver indotto gli sviluppatori a trasformare la Rebellion in una vera e propria “spada mutante” capace di trasformarsi, all’occorrenza, in una splendida falce argentea (la Osiris) o in una possente falce infuocata (l’Arbiter).
Per dare a questi due gioielli forgiati dai migliori maestri d’armi del Paradiso e dell’Inferno tutto il rispetto che meritano, i Ninja Theory hanno giustamente pensato di legare il loro utilizzo non alla “triste” selezione da un menù di pausa come in qualsiasi altro action/adventure ma, piuttosto, alla ben più agevole e “diretta” pressione dei due trigger laterali. Mai scelta è stata così determinante nell’economia di gioco di un titolo simile: grazie a questo semplice ma geniale stratagemma, infatti, all’utente viene data la possibilità di concatenare centinaia di attacchi diversi facendo propria la velocità della Osiris, la duttilità d’impiego della Rebellion e la devastante potenza dei colpi inferti dall’Arbiter, specie in ragione della presenza (o meglio, della riproposizione) dello Stylish, il sistema simil-scolastico deputato a giudicare la qualità delle combo attraverso il più classico dei punteggi alfabetici (dalla D alla A, oltre ai tre gradi di stile S per gli scontri più spettacolari).
Oltre alle due versioni angeliche e demoniache della Rebellion, nel prosieguo dell’avventura è poi possibile sbloccare nuove armi (o “mutazioni”), ognuna con il proprio albero di abilità e di combo acquistabili spendendo in un negozio apposito i Red Orb sparsi per la mappa: anche qui, come per la trama, preferiamo non offrire il fianco ad eventuali spoiler e ci limitiamo a citare i rampini impiegabili per spezzare la difesa dei nemici durante i combattimenti con le creature più potenti (o volanti) e per raggiungere aree altrimenti inaccessibili dell’ambientazione.
Nonostante le splendide soluzioni videoludiche trovate dagli sviluppatori per ricollocare la saga in una posizione centrale nel genere degli action in terza persona, comunque, ci sono diversi aspetti delle meccaniche di gioco di DmC che non ci convincono: i tre livelli di difficoltà “di base” proposti dagli sviluppatori inglesi, ad esempio, non offrono un livello di sfida accettabile e questo perchè le creature e i nemici affrontabili, molto spesso, evitano gli attacchi corali e preferiscono “fare a turno”, un aspetto, quest’ultimo, assolutamente inaccettabile in un action che vuole definirsi “moderno” e quindi dotato di un’intelligenza artificiale congrua.
Non meno “fastidiosi” sono poi i problemi riscontrati nella gestione delle telecamere (“merito” dell’assenza di un qualsivoglia sistema di lock-on dei nemici), nella pressoché inutile presenza delle pistole e nella scarsa cura riposta dai Ninja Theory nella rappresentazione degli scontri con i boss di fine livello, e questo senza citare il precario “equilibrio” di determinati frangenti platform con l’impiego di tre o più appigli e, ultima ma non per ordine di importanza (o di “gravità”), la difficoltà riscontrata nel rintracciare tutti gli oggetti nascosti anche dopo aver completato più volte l’avventura (che, per gli amanti dei numeri, al livello di difficoltà “Nefilim” offre una longevità media di 10-12 ore di gioco).
GRAFICA E SONORO
Se dal punto di vista delle dinamiche di gioco DmC risulta essere uno dei migliori action che siano mai stati creati, anche per quanto riguarda il fattore grafico e quello meramente “estetico” l’opera ultima dei Ninja Theory dimostra di meritare un posto d’onore nell’Olimpo dei titoli d’azione sfornati in questa generazione di console. Dalla fluidità delle animazioni del personaggio e delle creature affrontabili al taglio artistico dato ai trailer in cinematica e all’interfaccia “a realtà aumentata”, quasi ogni tassello tecnico e stilistico del puzzle grafico di quest’ultimo Devil May Cry merita di essere citato a esempio per tutti gli sviluppatori che dovranno cimentarsi d’ora in avanti con questo genere di titoli.
Le uniche critiche che potremmo muovere ai Ninja Theory in tal senso sono quelle legate all’uso spregiudicato dei filtri grafici in talune missioni, un aspetto, quest’ultimo, che diviene sempre più “grave” con l’aumentare del livello di difficoltà selezionato (una palette cromatica troppo accesa, un uso eccessivo degli effetti particellari e l’impiego di più filtri in simultanea sono fattori che non giocano a favore di chi tenta di mantenere la massima concentrazione contro nugoli di nemici armati fino ai denti in grado di ucciderci con un sol colpo).
Per quanto concerne il comparto audio, invece, non si può non rimanere colpiti dalla professionalità dimostrata dagli sviluppatori nell’assicurarci un doppiaggio di prim’ordine (compreso quello in italiano, tranne che per qualche sbavatura correlata all’enfasi gratuita delle imprecazioni) e una colonna sonora “d’impatto”, con decine di pezzi metal alternati a squisiti brani strumentali d’accompagnamento alle sessioni platform e alle ben più movimentate fasi di combattimento.
COMMENTO FINALE
Più che all’occidente, questo nuovo DmC sembra guardare all’India: nella straordinaria impalcatura di gioco eretta dai ragazzi di Ninja Theory si riesce infatti a intravedere quel meraviglioso e millenario microcosmo di contrasti e di equilibri, di profumi e di colori, di sapori e di sensazioni che danno origine alla cultura Vedica.
Pur rimanendo saldamente ancorata alle regole che governano da sempre gli action/platform, l’ultima epopoea videoludica di Dante riesce così ad estenderne i confini offrendo una vera e propria esperienza multisensoriale che inebria l’utente immergendolo in una dimensione fluida nella forma ma solida nella sostanza. La riprova di tutto questo è data dall’acume che i Ninja Theory hanno saputo dimostrare nel plasmare delle meccaniche di gioco estremamente godibili e delle visionarie ambientazioni intrecciate stilisticamente a una trama matura e leggera al tempo stesso. Un capolavoro di stile, oltreché di giocabilità, che non possiamo che consigliarvi a prescindere dai vostri trascorsi con la serie di Dante.
SECONDA OPINIONE
Sin da quando Capcom ha presentato questo reboot di Devil May Cry, le critiche sono state feroci e numerose. A livello di comunicazione si era partiti con il piede sbagliato, e oggettivamente il protagonista è stato abbastanza stravolto, reso più vicino ai quindicenni attuali che a quelli che quindici anni li avevano nel 2001, quando uscì il capitolo originale. E che, storicamente, compongono la “fan-base” della saga.
Forse sono state proprio le critiche aspre e in qualche modo aprioristiche a dare quello stimolo in più a Ninja Theory e Capcom per rinnovare e cattuare una nuova fetta di pubblico (il diktat era: vendere di più) ma al tempo stesso mantenere più fan di vecchia data possibili. Il risultato non sarà straordinario ma va comunque oltre le mie aspettative. Sia chiaro: coloro che parlano di “miglior capitolo della saga” hanno una memoria videoludica veramente molto corta, ma DmC si rivela in ogni caso un gioco ben strutturato, dalle meccaniche discrete e contraddistinto da uno stile e un design dei livelli che valgono da soli il prezzo del biglietto. Prima grande sorpresa di questo 2013 che costringerà tanti videogiocatori dalla lingua troppo veloce a rimangiarsi (almeno in parte) quanto detto in tutti gli scorsi mesi.
David
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