La sconfinata passione nutrita dagli appassionati di lungo corso di questa storica saga è magnificamente rappresentata da uno dei più simpatici e famosi poster demotivazionali osservabili in Rete, un semplice ma potente collage digitale in cui è possibile ammirare una New York futuristica inserita in una cornice virtuale dominata dall’eloquente scritta “Deus Ex: every time you mention it, SOMEONE will reinstall it”.
I lunghissimi anni intercorsi tra l’uscita di questo Human Revolution e la commercializzazione dei suoi due diretti precedessori, infatti, da un lato sono serviti ai neofiti per avvicinarsi ai capitoli passati per scoprire il segreto di questo mito digitale, ma dall’altro lato sono stati vissuti dai fans come un’interminabile tortura cinese amplificata dal fallimento di Eidos (acquistata successivamente da Square Enix) e dalla consapevolezza dello stratosferico potenziale insito in una serie così straordinariamente ricca di elementi meritevoli di essere ripresi e approfonditi sia dal punto di vista narrativo che prettamente videoludico.
Per evitare di rimanere ancorati al passato e per cercare di analizzare punto per punto l’ultima creatura dei ragazzi di Eidos Montreal senza addentrarci in pesanti comparative con i precedenti episodi della saga, quindi, nella recensione di Deus Ex: Human Revolution che ci attende dopo la pausa proveremo a scrollarci di dosso qualsiasi preconcetto per studiare nel dettaglio le qualità e gli eventuali punti dolenti di questa profonda e attesa opera cominciando, naturalmente, dagli aspetti relativi alla trama e alla progressione narrativa.
SANGUE, SOLDI E SILICIO
Orfani di Warren Spector (passato alla corte di Disney Interactive per occuparsi di Epic Mickey), i ragazzi di Eidos Montreal e Nixxes Software hanno saggiamente pensato di approfondire la conoscenza dell’universo steampunk della saga andando ad occuparsi dei primi, tumultuosi eventi che hanno portato alla rivoluzione cibernetica magnificamente raccontata nel primo Deus Ex e nel suo discreto seguito: siamo infatti nel 2027 e le società più evolute stanno vivendo uno dei periodi più traumatici della loro storia.
In questo futuro prossimo dominato dalle corporazioni e dalle multinazionali dell’hi-tech, la civiltà occidentale e le superpotenze orientali sono sull’orlo del collasso: la forbice socio-economica che divide i ceti più ricchi e quelli meno abbienti si è allargata a dismisura, le forze di polizia sono costrette a reprimere nel sangue i tumulti di piazza sempre più frequenti, i governi e le strutture di sicurezza delle aziende più influenti controllano la totalità dei media e una forte questione di carattere etico legata all’uso indiscriminato degli innesti cibernetici scuote nel profondo le coscienze delle persone, portandole di conseguenza a vivere un’esistenza angosciosa e piena di rancore verso la “fazione avversa” (sia essa quella degli uomini “puri” o quella di chi ha deciso di aumentare le proprie capacità fisiche con impianti nanotecnologici).
È in un simile, caotico contesto socio-politico che dovremo interpretare Adam Jensen, il responsabile della sicurezza delle Industrie Sarif impegnate nello sviluppo e nella produzione di arti e innesti robotici: da sempre dichiaratosi contrario all’utilizzo di questi “miglioramenti”, il nostro Adam sarà costretto suo malgrado a subire un pesante intervento chirurgico di ricostruzione cibernetica di viso, gambe e braccia per sopravvivere alle profonde ferite ricevute durante un attacco subito da un’organizzazione terroristica autoproclamatasi “a difesa della natura umana” (nonostante impieghi sul campo dei letali cyborg mercenari).
Da questo momento in avanti, quindi, Adam diventa il braccio armato di David Sarif che, come primo incarico, gli chiede di investigare sulla scomparsa, durante l’attacco terroristico, degli scienziati e dei biomedici più capaci della sua azienda infiltrandosi di nascosto in un complesso industriale per trovare indizi e prove necessarie per proseguire le indagini interne del suo capo: l’avventura vera e propria inizia adesso, e con essa inizia anche l’infinito dedalo di opzioni che le ramificazioni della trama e del gameplay di Human Revolution avranno da offrirci.
PICCOLI ROBOT CRESCONO
Come da antica tradizione, Human Revolution non tradisce il granitico impianto di gioco dei primi Deus Ex e si struttura come uno sparatutto in prima persona dotato di una fortissima componente stealth, di una progressione narrativa aperta e con scelte multiple legate sia alla morale che, in maniera più specifica, agli eventi stessi della trama, nonché di una grande libertà di movimento e di un ricco ecosistema di opzioni relativo alla possibilità di intraprendere le missioni principali e i compiti secondari senza seguire strade prefissate.
Tanta carne al fuoco insomma, anche se la presenza di un gameplay così variegato ha però i suoi limiti, a cominciare dal senso di disorientamento che proveranno sia i neofiti che gli appassionati di lungo corso per la molteplicità delle azioni da dover compiere per proseguire nell’avventura, per la natura stessa del progetto e per la mancanza oggettiva di una fase tutorial propriamente detta (il tutto è gestito da semplici mini-filmati esplicativi limitati agli aspetti essenziali). Pur svanendo dopo le prime ore di gioco, questa confusione porta infatti gli amanti degli FPS da un lato e dei GDR dall’altro a nutrire un senso di delusione destinato ad accompagnarli fino a quando non capiscono che Deus Ex: Human Revolution non può essere ascritto in nessuna di queste due categorie.
Quasi fosse una piramide di granito edificata su una base di sabbia di mare, la gigantesca architettura di gioco costruita dagli Eidos Montreal pesa sulle prime, traballanti ore dell’avventura per “stabilizzarsi” solo dopo aver compiuto almeno un paio di missioni: una volta esaurito questo “periodo di studio”, infatti, tutti gli elementi del titolo assumono una loro forma ed esaltano con coerenza ogni singolo aspetto dell’esperienza di gioco, cominciando naturalmente dalle sessioni d’azione pura in cui potremo decidere in completa autonomia se affrontare i nemici a viso aperto o, magari, adottando un profilo decisamente più “discreto”.
In entrambi i casi, ad aiutarci nel raggiungimento del nostro scopo ci penseranno le armi e i potenziamenti cibernetici a disposizione di Adam Jensen in base ai crediti e ai punti esperienza accumulati fino a quel momento dal nostro alter-ego: chi preferisce le infiltrazioni silenziose agli assalti “alla Rambo” potrà fare affidamento su dardi tranquillizzanti, taser, fucili stordenti e attacchi corpo a corpo, mentre chi non vuole andare tanto per il sottile avrà nelle pistole, nelle mitragliatrici, nelle granate, nei lanciamissili, nei fucili di precisione e nelle armi al plasma i suoi amici più fidati.
UN GIOCO MULTITASKING
Più che nella varietà delle opzioni di gioco proposte, il vero punto di forza di Deus Ex: Human Revolution sta nella possibilità di piegare a nostro piacimento la natura stealth e action dell’opera senza le limitazioni morali e di classe tipiche dei GDR occidentali.
Agli elementi che abbiamo analizzato nel capitolo precedente di questa recensione, infatti, dobbiamo aggiungere le infinite ramificazioni dovute ai miglioramenti cibernetici con i punti Praxis, acquistabili negli ospedali o sbloccabili ogni 5000 punti di esperienza base, i quali ci permetteranno non solo di aumentare esponenzialmente le capacità “belliche” di Jensen ma di abilitare capacità d’importanza capitale come l’invisibilità temporanea, gli strumenti di hacking dei terminali più avanzati e il visore tattico, tutti aspetti estremamente utili che moltiplicano i possibili approcci alle missioni e consentono all’utente di esplorare aree della mappa altrimenti inaccessibili (un sistema “simil-Zelda” che esalta il lato avventuroso del titolo).
Similarmente ai primi due capitoli della saga, inoltre, anche in Human Revolution le fasi dei dialoghi rappresentano uno dei capisaldi dell’esperienza di gioco complessiva: pur senza addentrarci troppo in questo specifico aspetto per non rovinarvi il piacere della scoperta, ci limitiamo a segnalare la bontà di questo particolare ambito dell’opera e, soprattutto, la profondità del sistema di rilevamento delle menzogne e di raccolta delle informazioni legato all’apposito potenziamento cibernetico (sbloccabile anch’esso tramite punti Praxis e non disponibile sin dall’inizio) che consente a Jensen di liberare nell’aria degli ormoni che lo aiutano a capire il tipo di personalità del suo interlocutore e, quindi, a rendere più facile il tentativo di condizionarne il suo comportamento per proseguire nella trama con maggiore semplicità.
E come se non bastasse tutto ciò, a rendere il gameplay ancora più variegato ci pensa poi il complesso mini-gioco escogitato dagli Eidos Montreal per le fasi di hacking dei computer, delle cassette di sicurezza e dei terminali per la gestione in remoto delle telecamere e dei robot limitrofi, la cui unica nota dolente è rappresentata, purtroppo, dalla sua eccessiva ripetitività e quindi dalla mancanza di altre modalità di interazione con i pannelli elettronici (se non tramite l’apposita password che, con un po’ di fortuna, può essere rintracciata nelle vicinanze del pannello da sbloccare o direttamente nelle tasche degli avversari).
Alla delusione per la ridondanza del mini-gioco di hacking s’aggiunge poi il cocente sconforto dovuto alla sconclusionata e lacunosa intelligenza artificiale dei nemici: di qualunque grado essi siano, i soldati e i robot che si accorgeranno della nostra presenza durante le missioni avranno una reazione estremamente lenta e disorganizzata, dei comportamenti che vengono però “compensati”, videoludicamente parlando, dalla relativa “sensibilità” di Jensen alle loro pallottole (senza potenziare l’esoscheletro con i punti Praxis, anche ai livelli di difficoltà più bassi basteranno pochi colpi per finire al tappeto).
Per questo, e per la necessità di esplorare tutte le aree della mappa per fare il pieno di crediti, di munizioni e di punti esperienza, conviene scegliere di volta in volta l’atteggiamento da tenere durante le missioni: nonostante la scarsa IA dei nemici potrebbe consigliarci di intraprendere la via più diretta senza “perdere tempo” a strisciare da una sporgenza all’altra nella speranza di non essere visti, la linea immaginaria che in Human Revolution divide l’azione pura dall’infiltrazione stealth è davvero molto sottile e può (o meglio, deve) essere spezzata in qualunque momento in base alle prorità della missione o, più semplicemente, a ciò che sentiamo di fare per raggiungere il nostro scopo nel modo che più ci aggrada. Un aspetto, quest’ultimo, che enfatizza le possibilità di personalizzazione dell’avventura (che, in media, vi terrà incollati allo schermo per una quarantina di ore), aumentando di conseguenza le probabilità di rigiocarla in futuro per scoprire cosa potrebbe succedere decidendo di adottare un approccio diametralmente opposto a quello preso in precedenza.
La nota finale spetta, naturalmente, ai “boss di fine livello” che ci ritroveremo a combattere nelle fasi nevralgiche della trama: qui, infatti, il delicato equilibrio tra action e stealth mantenuto magistralmente nelle altre sessioni dell’avventura viene brutalmente schiacciato in favore dell’azione nuda e cruda finalizzata all’annientamento dell’avversario. Nessuna possibilità di fuga e niente strategia: contro i boss di Human Revolution bisogna solo correre da un punto all’altro del “ring” e sperare di sopravvivere alla pioggia di proiettili nemici quel tanto che basta per poter abbozzare di tanto in tanto una risposta e avere la meglio sulla nostra nemesi con un po’ di fortuna e con una sana dose di pazienza (quest’ultima, messa a dura prova da decine di Game Over).
GRAFICA E SONORO
Dal punto di vista squisitamente grafico, il mondo di gioco di Deus Ex: Human Revolution è straordinariamente dettagliato e coerente sia con gli eventi spiegatici nel corso dell’avventura dai personaggi non giocanti che con le informazioni raccolte dagli ebook, dalle email e dai giornali sparsi per la mappa. Nonostante la presenza costante di una palette di colori tendente al giallo in maniera a dir poco eccessiva e a degli elementi architettonici (per le location esterne) e di arredo (per gli interni) riciclati tra le varie aree visitabili, nel complesso Human Revolution non tradisce le attese e regala città esteticamente pregevoli in cui perdersi per ore nella speranza di trovare luoghi segreti e persone interessanti in grado di offrirci del lavoro extra tra una missione e l’altra.
Oltre a un problema dovuto ai caricamente eccessivi (comunque migliorabile installando la versione PS3/X360 su hard disk o aggiornando la versione PC con una patch uscita da poco) c’è poi un aspetto ben più negativo su cui non possiamo (né vogliamo) soprassedere ed è quello rappresentato dal netto stacco tra le splendide scene in computer grafica (realizzate dagli esperti ragazzi di Square Enix) e le successive sequenze in cinematica prodotte con la grafica di gioco dagli sviluppatori di Eidos Montreal (per la versione console) e dai Nixxes Software (a cui è stata affidata la versione PC), un saliscendi qualitativo amplificato oltretutto dall’insufficiente lavoro sulle animazioni e sui modelli poligonali dei personaggi (con il viso poco curato e il corpo eccessivamente squadrato), specie considerando ciò che è stato fatto con il ben più faticoso lavoro sulle texture che mappano (ottimamente, stavolta) gli oggetti grandi e piccoli.
Come nel caso del comparto grafico, anche dal punto di vista sonoro Human Revolution offre parecchi punti da discutere, cominciando dalla colonna sonora vera e propria (davvero epica ma, purtroppo, utilizzata a sproposito per tutta la durata del gioco) per finire ai campionamenti ambientali (estremamente curati) e al doppiaggio (strepitoso in madrelingua, discreto in italiano ma asincroni con il labiale dei personaggi in entrambi i casi).
COMMENTO FINALE
Un brivido gelido corre lungo la schiena di chi si sofferma a pensare ai titoli che usciranno da qui alla fine dell’anno e, quindi, ai soldi che si dovrebbero spendere per aggiornare la propria ludoteca. Oltre alla lontananza cronologica con i due precedenti episodi di Deus Ex, è questo il motivo principale per cui molti videogiocatori hanno guardato sino ad ora a questo Human Revolution con parecchio scetticismo, specie in un periodo non particolarmente felice dal punto di vista economico come quello che stiamo vivendo tra una crisi finanziaria e l’altra.
Consapevoli di ciò, con questa recensione abbiamo cercato di fare le pulci al titolo Square Enix per cercare di capire fino a che punto sarebbe valsa la pena acquistare un prodotto come questo, e dopo tante parole possiamo tranquillamente affermare che sì, Deus Ex: Human Revolution ha tutte le carte in regola per battersela con qualsiasi titolo AAA che verrà commercializzato nei prossimi mesi.
Nonostante alcune imperfezioni dovute più alla complessità del progetto che alle effettive capacità dei ragazzi di Eidos Montreal e di Nixxes Software, infatti, Human Revolution rappresenta per qualità, per longevità e per giocabilità ciò che ogni videogame del 2011 dovrebbe essere, ossia un prodotto in grado di soddisfare le esigenze degli appassionati di lungo corso di una saga storica come quella di Deus Ex e le speranze dei neofiti o di chi, amante o meno degli FPS o dei GDR, vuole vivere un’esperienza di gioco soddisfacente ed unica.
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