Ciclica come il viaggio migratorio delle anatre o come l’annuncio-farsa della scadenza dei lavori sulla Salerno/Reggio Calabria, l’uscita cadenzata di ogni capitolo della saga di Call of Duty segna l’ingresso nella stagione videoludica più importante dell’anno e contribuisce ad alimentare la sempre più dura contrapposizione tra la sconfinata comunità di appassionati e gli altrettanto numerosi detrattori.
A prescindere dalle divergenze di giudizio sull’estrema serializzazione di questa proprietà intellettuale attuata dalle alte sfere di Activision per perpetrarne all’infinito le vendite milionarie, però, non vi è dubbio alcuno che l’esperienza di Call of Duty ha determinato buona parte degli eventi che hanno plasmato l’attuale generazione, dalla violenza del linguaggio narrativo adottato dagli autori per dare forma alla campagna in singolo degli sparatutto realizzati dalla concorrenza alla ricchezza di elementi di personalizzazione e di modalità tra cui scegliere negli scontri in multiplayer.
Per le sferzate di originalità promesse in questi mesi dai Treyarch assieme ai proverbiali miglioramenti da apportare al comparto grafico e alle meccaniche di gioco, quindi, in queste settimane ci siamo lanciati a capofitto nell’avventura in singolo, nelle sessioni online e nelle sfide zombie di Black Ops II nella speranza di proporvi, con questa nostra recensione, delle analisi approfondite e dei giudizi obiettivi sull’ultimo capitolo di Call of Duty.
LA GUERRA IERI, OGGI E DOMANI
Per una precisa scelta presa dai Treyarch per rendere più dinamica e “viva” l’esperienza di gioco in singolo rispetto a quella dei precedenti episodi della serie, in Black Ops II il costrutto narrativo viaggia lungo il duplice binario cronologico rappresentato dalle battaglie raccontate da Alex Mason e dalle gesta di suo figlio David. A fare da filo conduttore agli eventi ricostruiti nella campagna è la brusca interruzione dei rapporti diplomatici tra gli Stati Uniti e la Cina e il conseguente scoppio di una seconda Guerra Fredda combattuta sottotraccia da ambo le parti per il controllo delle ultime risorse energetiche costituite dalle “terre rare” (l’insieme di elementi che, come l’uranio e il plutonio, possono essere impiegati per la costruzione di centrali elettriche e di ordigni nucleari).
L’ingresso dell’ambientazione futuristica segna il primo di una lunga serie di atti a cui i Treyarch si dedicano per smarcarsi dagli altri capitoli della saga: in Black Ops II, infatti, le azioni di gioco compiute da David nel 2025 e dal padre nei turbolenti anni della “prima” Guerra Fredda offrono due tipologie di gameplay a se stanti che moltiplicano il divertimento garantito da ogni singola missione. Opposte sia dal punto di vista concettuale che squisitamente “ludico”, le pericolose operazioni intraprese nei panni dei due rappresentanti della famiglia Mason si completano a vicenda utilizzando la formula cinematografica dei flashback per esprimere emozioni e sensazioni simili a quelle di un action hollywoodiano d’alto livello.
La conseguenza diretta di questa scelta narrativa la abbiamo nella ricchezza delle ambientazioni e nella varietà di azioni da intraprendere, prima ancora che nella violenza delle scene d’intermezzo e nell’estrema crudezza delle fasi di dialogo: l’interconnessione profonda tra le missioni che si inanellano nelle 8-9 ore di gioco della campagna singleplayer (al livello di difficoltà medio) viene poi ulteriormente rinsaldata dalla presenza di un finale con sei conclusioni alternative basate sul comportamento tenuto in battaglia durante le Strikeforce, delle speciali operazioni che introducono per la prima volta degli elementi tattico-strategici (un aspetto, quest’ultimo, di cui ci occuperemo approfonditamente nel prossimo paragrafo di questa recensione).
Grazie alle Strikeforce, al taglio “maturo” dato alla trama e alla cadenzata alternanza tra l’esperienza di gioco futuristica e quella storica, per la prima volta dai tempi di Modern Warfare riusciamo così a godere di una campagna affascinante, divertente e piena di colpi di scena: gli unici punti di criticità che possiamo evidenziare in tal senso sono quelli legati, come detto, alla scarsa longevità dell’avventura dei due Mason, ma anche alle incongruenze narrative che è possibile scorgere nelle fasi “di collegamento” tra una missione e l’altra, alla progressione rigorosamente su binari degli eventi ricreati nelle battaglie in singolo e, infine, alla blanda reattività dimostrata dai soldati, dai droni e dai guerriglieri comandati dalla CPU.
SANGUE E METALLO
Esattamente come per il canovaccio narrativo e per tutto ciò che ha a che fare con le diramazioni della trama e con la libertà di scelta degli utenti, anche le meccaniche di gioco di Black Ops II traggono vantaggio dalla profonda opera di restyling voluta e attuata dai vertici di Treyarch con il benestare di Activision. La prima e più evidente innovazione, com’era logico attendersi, è data dall’ingresso in pompa magna dell’equipaggiamento futuristico, delle armi ipertecnologiche e dei perk “intelligenti” frutto dell’enorme balzo in avanti compiuto dalle nazioni più sviluppate in campo bellico nei settori della robotica, dell’informatica e dell’ingegneria.
Lo stacco tra le crude sessioni di gioco ambientate durante la Guerra Fredda e le battaglie ipertecnologiche nella crisi tra USA e Cina del 2025, tuttavia, non è così “traumatico” come potrebbe sembrare: lo sforzo profuso dai Treyarch per non sbilanciare i delicati equilibri del singleplayer, infatti, in questo caso risulta essere dannatamente efficace poichè l’uso dei gadget più avveniristici non domina l’azione di gioco ma, al contrario, assume una valenza puramente narrativa facendo da collante scenografico tra uno scontro a fuoco e l’altro. L’impiego degli automi comandabili a distanza, delle tute alari, dei congegni per l’invisibilità e di tantissime altre diavolerie che preferiamo non rivelare per non rovinarvi il piacere della scoperta, infatti, è assolutamente estemporaneo e reso possibile solo in determinati frangenti della campagna: gli unici moduli utilizzabili indistintamente e senza alcuna restrizione narrativa di sorta sono i “semplici” perk che integrano dei visori “speciali” ai mirini delle armi automatiche e semiautomatiche per consentirci di sbirciare, con l’ausilio di un fascio di neutrini ad ampio raggio, la sagoma di un eventuale nemico nascosto dietro a un muro.
Tolti i mirini intelligenti e i vari ammennicoli dell’industria bellica del domani, le armi imbracciabili da David Mason nel 2025 non differiscono poi di molto da quelle impugnate (e usate proficuamente) dal padre Alex negli anni caldi della guerra del Vietnam, negli assalti alle postazioni russe approntate in Afghanistan negli anni ’80 e in tutte le operazioni segrete a cui ha partecipato prima del crollo del Muro di Berlino. Più che nelle differenze di equipaggiamento, nell’avventura in singolo di Call of Duty: Black Ops II il ruolo di “sparigliatore di carte” del gameplay va ricercato quasi esclusivamente nelle missioni Strikeforce, delle vere e proprie isole felici di strategia ragionata in un mare impetuoso d’azione. Diverse da qualsiasi altra operazione intrapresa dagli utenti storici della saga sparatutto di Activision, le Strikeforce consentono ai giocatori di modificare il finale del titolo prendendo parte a sei diverse missioni della campagna in singolo in cui, in base al contesto, ci viene richiesto di guidare un manipolo di soldati (“umani” o robotici) nella difesa a oltranza di determinate postazioni prese d’assalto da ondate sempre più numerose e arcigne di truppe cinesi.
L’impegno richiesto dalle Strikeforce è duplice e non si limita al controllo passivo dei propri sottoposti ma raggiunge un livello di immersione analogo a quello delle altre missioni: da un lato, infatti, si ha la necessità di “saltare” letteralmente da un soldato all’altro mediante la croce direzionale per prendere parte al combattimento in prima persona, mentre dall’altro si ha la possibilità di avere una visuale d’insieme dell’area di gioco attraverso una telecamera simil-isometrica che, collegata in remoto ad ogni membro del proprio team, garantisce l’impiego massivo degli ordini di squadra. Sia nelle operazioni Strikeforce che nelle missioni canoniche, però, si avverte sottotraccia la mancanza di un seppur abbozzato sistema di coperture dinamiche, un elemento di secondaria importanza ai fini dell’azione di gioco spicciola ma che, se ben implementato, avrebbe perlomeno garantito una maggiore reattività e “plasticità” ai movimenti dei soldati al proprio comando e di quelli affidati all’intelligenza artificiale nemica.
MULTIPLAYER
In ossequio al numero smisurato di appassionati che annualmente acquistano un capitolo della serie di Call of Duty solo ed esclusivamente per immergersi nel magico microcosmo rappresentato dal modulo multiplayer, in questo particolare aspetto i Treyarch non si sono sbilanciati nelle modifiche e, con Black Ops II, si sono “limitati” ad ampliare l’offerta senza abbattere la granitica impalcatura degli episodi recenti. Anche se l’ossatura delle modalità in rete cooperative e competitive è rimasta sostanzialmente invariata, comunque, il numero di innovazioni apportate dagli sviluppatori americani è tale da doverci obbligare ad analizzarle caso per caso, cominciando da quella che, nei mesi che hanno anticipato l’uscita del titolo, è sembrata ai più come l’aggiunta più corposa dell’intera offerta multiplayer, vare a dire quella del modulo Zombie.
Per la prima volta dai tempi di World at War, infatti, il comparto “zombesco” di un episodio della serie di Call of Duty può vantare una campagna a se stante (Tranzit) con cui poter esplorare una versione “infernale” delle ambientazioni dell’avventura in singolo attraverso un autobus governato da un losco figuro biomeccanico a metà strada tra Terminator e lo Zio Tibia. Sempre agli appassionati della modalità Zombie sono poi dedicati gli scontri Survival (basati sulla sopravvivenza a delle ondate sempre più numerose e pericolose di non-morti) e le ben più originali battaglie Grief (dove due squadre da quattro utenti ciascuna utilizzano degli stratagemmi per spingere le creature demoniache nella mappa ad attaccare il gruppo avversario).
Anche per quanto riguarda il multiplayer “classico” assistiamo a una serie di tante piccole migliorie volte a rendere più organica e variegata la scelta delle modalità da affrontare e dei potenziamenti da utilizzare per il proprio alter-ego: è in quest’ultima direzione che bisogna inquadrare, ad esempio, l’adozione del sistema “Pick 10” per personalizzare l’equipaggiamento mediante la selezione autonoma di un massimo di dieci perk per ciascuna classe, o la completa sostituzione dei vecchi Kill Streak in funzione di un nuovo albero di “poteri speciali” utilizzabili non solo attraverso le uccisioni simultanee, ma anche con il conseguimento degli “assist” e degli obiettivi specifici per ciascuna modalità competitiva.
L’opera di “ringiovanimento” del multiplayer tocca anche il metodo stesso di ingresso alle lobby multiplayer: da un sistema di matchmaking basato sulla vicinanza geografica tra gli utenti si è passati infatti a una ricerca incentrata sulla stabilità del netcode, sulla qualità della connessione e sulla potenza del segnale. C’è persino spazio per delle aggiunte ispirate più o meno esplicitamente alla concorrenza, come nel caso del system link di Ghost Recon Future Soldier (con un grado unico per tutti i partecipanti alla partita) e dell’impiego dei bot analogo a quello di Killzone 3 (per studiare le mappe e le strategie da ripetere nelle competizioni online vere e proprie).
Per l’esperienza di gioco spicciola, infine, per evitare qualsiasi spoiler sul multiplayer (che, per un titolo della famiglia di CoD, possono essere fastidiosi quanto e più di quelli della campagna) ci limitiamo a constatare la grande ricchezza di ambientazioni e la scelta dei ragazzi di Treyarch di dotare ogni mappa di un numero incredibile di “passaggi segreti”, di connessioni nascoste, di cunicoli e di stanze su più livelli che facciano da “cornice strategica” ai grandi spiazi erbosi delle aree naturali e alle zone urbane con una maggiore distanza visuale.
GRAFICA E SONORO
Non potendo davvero compiere dei miracoli con l’ormai superato motore grafico dei recenti Call of Duty, i programmatori e gli artisti digitali di Treyarch si sono concentrati sugli aspetti “secondari” del comparto tecnico: il grosso del lavoro degli sviluppatori a stelle e strisce è stato fatto nel realismo della palette cromatica, nella verosimiglianza degli effetti ottici legati al passaggio da un luogo all’aperto a uno al chiuso, nella bontà degli effetti particellari (specie per quanto riguarda le fiamme e le esplosioni) e, più in generale, nella “coerenza” dell’illuminazione ambientale fissa. Tolti questi accorgimenti, però, dal punto di vista squisitamente grafico ed estetico i limiti tecnologici di Black Ops II non fanno che acuirsi col confronto diretto con i prodotti sfornati dalla concorrenza: i modelli poligonali sono approssimativi, le animazioni dei personaggi a schermo non mostrano segni di evoluzione rispetto ai capitoli passati e le texture, tanto per gli ambienti quanto per i soldati e la relativa attrezzatura bellica, lasciano a dir poco interdetti se pensiamo a quanti anni sono stati sprecati da chi, dalle parti di Activision, avrebbe dovuto provvedere allo sviluppo di un engine grafico al passo coi tempi.
Se dal punto di vista “estetico” l’anacronistico impiego del motore grafico di CoD 4 pregiudica in larga parte gli sforzi dei Treyarch, per quanto riguarda il comparto audio non possiamo che sottolineare la passione con cui i “maghi del suono” della casa di sviluppo americana si sono impegnati per dare forma alla colonna sonora e per rendere ancora più veritiere le sessioni di gioco impiegando migliaia di campionamenti audio e decine di effetti (dal riverbero dei colpi sparati nel pieno di una giungla al tonfo ovattato degli spari in un luogo chiuso). Il tenore entusiastico dei giudizi sul comparto sonoro trova ulteriore conferma nella bontà del doppiaggio, completamente in italiano e in grado di interpretare appieno i forti contrasti emotivi rappresentati dalle scene in cinematica e dalle fasi parlate della campagna in singolo così come del relativo modulo Zombie.
COMMENTO FINALE
Per il sagace e coraggioso esperimento narrativo compiuto dai ragazzi di Treyarch per dare alla trama e alle meccaniche di gioco un respiro più ampio e un carattere tanto forte quanto “malleabile”, Black Ops II riesce a imprimere un vero slancio di innovazione alla fin troppo vituperata e autoreferenziale saga di Call of Duty. Chi ha odiato fino ad oggi il concentrato di americanate e di violenza gratuita rappresentato dalla serie sparatutto di Activision, con l’avventura di David e Alex Mason potrebbe davvero ricredersi e non perchè Black Ops II manchi di brutalità e di azioni ai limiti dell’umana comprensione (tutt’altro), ma semplicemente perchè stavolta il tutto viene inquadrato in una dimensione meno ingessata e più “coinvolgente”.
Per comprendere l’entità dei miglioramenti apportati dai Treyarch basta infatti citare l’introduzione delle missioni strategiche Strikeforce, di un’intera campagna Zombie parallela al singleplayer, di una narrazione con esiti multipli per il destino di quasi tutti i personaggi e di un solido impianto multiplayer sorretto da un convincente sistema di customizzazione dei perk: è vero, c’è voluta quasi un’intera generazione e una faticosa “iniezione di futurismo”, ma dalla sartoria di Treyarch, finalmente, esce un abito cucito su misura per tutti gli appassionati di sparatutto, e non una semplice T-shirt confezionata ad uso e consumo dei soli amanti della saga di Call of Duty.
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