BioShock Infinite: la recensione

BioShock Infinite: il capolavoro di Ken Levine recensito per voi da Gamesblog.it
BioShock Infinite: la recensione
BioShock Infinite: il capolavoro di Ken Levine recensito per voi da Gamesblog.it

Missioni secondarie, armi potenziabili, narrazione non lineare, livelli sandbox: nell’universo inflazionato degli sparatutto in prima persona, questi concetti si intrecciano, si confondono, perdono di significato. Sfumate in una melassa indistinta di idee riciclate, le scelte che precedono lo sviluppo di un FPS moderno contrappongono le naturali esigenze di cambiamento degli utenti alle altrettanto logiche necessità economiche degli attori grandi e piccoli di quest’industria multimiliardaria.

La storia della saga di BioShock ne è l’esempio più lampante: esplosa nel 2007 con il fragore di un fenomeno mediatico mondiale così intenso da contribuire più di ogni altro progetto ad avvicinare i videogiochi alle altre forme d’arte moderna più affermate, nel 2010 l’epopea della distopica città sottomarina di Rapture è stata strappata dalle mani degli sviluppatori originari ed è finita nel calderone della serialità fine a se stessa.

Le distruttive forzature compiute dai produttori di 2K Games e l’ovvio fallimento dell’iniziativa commerciale di BioShock 2 hanno così indotto le alte sfere della casa madre di Take Two a rivedere i propri piani concedendo una nuova apertura di credito agli Irrational Games di Ken Levine. Con la recensione di BioShock Infinite che vi proporremo quest’oggi dopo aver passato più di 30 ore di gioco tra i grattacieli fluttuanti della città di Columbia, quindi, proveremo a sviscerare tutti gli elementi narrativi, tecnici, ludici e artistici di questa ambiziosa e attesissima opera digitale.

BioShock Infinite: galleria immagini

L’ODISSEA DI BOOKER E LIZ

Il canovaccio narrativo steso dagli autori degli studi Irrational Games per plasmare la trama di BioShock Infinite ci allontana dal contesto cronologico e ambientale della distopica città sottomarina di Rapture che tante gioie (e altrettanti dolori) ha regalato agli appassionati di questa saga: il quadro dipinto dal team creativo di Ken Levine ci porta infatti tra gli scintillanti palazzi tardo-ottocenteschi di Columbia, una magnifica città fluttuante costruita da Zachary Comstock per celebrare i successi politici, economici e scientifici degli Stati Uniti. Comportandosi come un enorme prisma orientato verso le coscenze ancora acerbe di una nazione dilaniata da una spaventosa guerra civile, l’attrazione principale della Fiera Mondiale di Colombia del 1983 finisce però nel 1901 con lo scomporre la luce del progresso nei colori della rivendicazione indipendentista dei Fondatori, gli uomini e le donne risucchiati nel gorgo del fanatismo della pseudo-religione di Comstock.

Seguendo un percorso di sviluppo creativo analogo a quello del primo BioShock, la dimensione parallela aperta dagli autori di Irrational Games per disegnare nell’immensità del cielo di Infinite i quartieri volanti di Columbia non si limita a dar vita a un mondo di gioco onirico e ricco di spunti di riflessione ma, al contrario, produce una storia cruda ed estremamente “reale” (anche se poco realistica): ciò che l’utente è chiamato a compiere nei panni dell’ex agente della Pinkerton Booker DeWitt per combattere i demoni del suo passato e adempiere alla sua missione, infatti, assume i contorni di un’avventura al cardiopalma vertente tutta attorno al viaggio compiuto per liberare Elizabeth dalla folle gabbia dorata di Columbia.

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La cifra stilistica di BioShock Infinite sta tutta nel rapporto simbiotico che va instaurandosi tra Liz e il nostro alter-ego nel prosieguo della campagna principale: differentemente dal legame “gotico” e oscuro sussistente tra la Tenenbaum e le Sorelline nel primo capitolo della serie di Levine, l’intreccio narrativo che unisce a doppio filo le esistenze di Elizabeth e del suo rude “protettore” dona alla storia di questo videogioco una straordinaria ricchezza di dettagli e uno spessore unico nel panorama degli sparatutto moderni. I delicati meccanismi che sovrintendono alla costruzione della trama di questo progetto fanno somigliare i livelli di Infinite alle tappe di un percorso guidato all’interno di un museo interattivo.

Ben nascosta nell’abbacinante splendore dell’avventura digitale di Infinite troviamo infatti una struttura narrativa analoga e, per certi versi, sovrapponibile a quella della Divina Commedia di Dante: gli eventi della storia fanno vibrare le corde più delicate dell’intima natura umana e assumono la forma concentrica di un “Inferno celeste” gravitante attorno all’onnipresente figura di Elizabeth. Dal bozzolo di falso buonismo dei Fondatori al microcosmo steampunk dei Vox Populi, tutti i tratti della campagna principale convergono a spirale su Liz e sul suo ruolo di “Agnello di Columbia”. Se da un lato la linearità della trama contribuisce a dare alla storia un ritmo unico e pieno di colpi di teatro, dall’altro lato l’assenza di modalità sandbox e di elementi “liberi” deprime le speranze degli amanti delle avventure a mondo aperto e genera un vuoto che, purtroppo, trova riflessi diretti e immediati in tutto ciò che ha a che fare con la giocabilità.

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NEL BLU DIPINTO DI ROSSO

Decisamente meno “originali” del linguaggio narrativo coniato dagli autori del team di Ken Levine per costruire la storia di Booker e Liz, le “note digitali” utilizzate dai programmatori di Irrational Games per far cantare il gameplay di BioShock Infinite in una sinfonia di scontri a fuoco e di azioni all’arma bianca seguono una versione rivista e corretta dello spartito realizzato dagli stessi ragazzi di Levine per l’episodio del 2007 da cui tutto ha avuto origine. Alle innovazioni rappresentate dall’ambiente di gioco di Columbia, dalla necessità di intraprendere l’avventura in compagnia di Elizabeth e da decine di altre particolarità del gameplay, infatti, fa da contraltare la riproposizione di un sistema di movimento e combattimento del tutto analogo a quello che ci ha accompagnati, tra il 2007 e il 2010, nella doppia escursione subacquea di Rapture.

Ancorati alla giocabilità originaria come i palazzi di Columbia ai relativi palloni aerostatici, gli sviluppatori americani hanno così deciso di continuare a percorrere il sentiero battuto dai Big Daddy per dare alla trama di Infinite un ruolo predominante sull’intera esperienza di gioco. Tra i tanti aspetti che accomunano questo titolo ai precedenti episodi della serie figurano ad esempio i Plasmidi, qui sostituiti dai Vigor e dai Nostrum per garantire al nostro alter-ego la possibilità di “arricchire” gli scontri a fuoco con poteri elementali derivanti dall’assunzione di otto diverse tipologie di tonici “magici” (sulla cui natura preferiamo soprassedere per non incappare in fastidiosi spoiler). Sempre per ciò che concerne gli elementi di personalizzazione del gameplay, è poi impossibile non citare l’introduzione di uno scudo-Vigor (con relativa barra di energia), di “carte equipaggiamento” che sbloccano dei bonus simil-ruolistici e di un rinnovato sistema economico che punisce gli utenti più sbadati togliendo delle cospicue somme di denaro ad ogni morte.

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Esattamente come nella trama, però, anche negli aspetti relativi alla giocabilità la presenza imprescindibile di Elizabeth stravolge le dinamiche di gioco e calamita la maggior parte delle innovazioni apportate dagli Irrational Games: oltre che a interagire con i personaggi secondari e a rifornirci di medikit, di munizioni, di denaro e di Vigor nelle situazioni più concitate dell’avventura, infatti, la bella e intelligente Liz ci aiuta nella ricerca degli oggetti sfuggitici a un primo sguardo (evidenziando con una luce bluastra le aree in cui dovrebbero trovarsi, ad esempio, delle borse incustodite o dei pacchi di grimaldelli) e assume un ruolo attivo negli scontri con i nemici di turno concedendoci l’opportunità di utilizzare il suo speciale potere quantico basato sulla materializzazione e sulla smaterializzazione di varchi dimensionali.

Gli squarci spazio-temporali di Liz sono di certo l’elemento più fresco e innovativo dell’intero ecosistema di gioco eretto dagli sviluppatori di Ken Levine: tramite queste porte dimensionali, il nostro alter-ego può infatti modificare al volo le ambientazioni aggiungendo o sottraendo coperture, mitragliatrici fisse, appigli per lo Sky-Hook (lo strumento impiegato per “grindare” le skyline che uniscono i quartieri fluttuanti dei livelli più grandi di Columbia) e quant’altro possa venirvi in mente pensando a una ragazza dotata di una fervida immaginazione e di un potere simile a quello di un Dio.

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Fatta la dovuta tara tra le innovazioni pure e le aggiunte alle dinamiche originarie dei precedenti BioShock, il gameplay di Infinite ci lascia però con l’amaro in bocca, e questo soprattutto per le poche migliorie apportate a un combat system concepito per esaltare il senso di claustrofobia avvertibile tra i grattacieli di una città sottomarina come Rapture, e non per esprimere al meglio il senso di libertà assoluta concesso a chi, come Booker DeWitt, può compiere balzi giganteschi tra una piattaforma e l’altra e correre a perdifiato senza alcun problema di sorta. A prescindere da tutto ciò che stato fatto per garantire alla trama un livello qualitativo mostruosamente elevato, dal punto di vista della giocabilità spicciola si sarebbe potuto fare molto di più per rendere più organiche le missioni secondarie e la ricerca degli oggetti collezionabili (basata solo sulla scoperta dei voxafoni e dei kinetoscopi), per affinare l’intelligenza artificiale degli avversari o, ad esempio, per aumentare il numero di “bivi narrativi” attraverso un sistema di moralità simile a quello sperimentato nel primo episodio con la raccolta dell’ADAM dalle Sorelline della Tenenbaum.

Dall’approdo su Columbia ai titoli di coda, l’avventura di BioShock Infinite garantisce in media dalle 12 alle 14 ore di gioco effettivo: tale limite, però, può essere ampiamente superato se si decide di reindossare i panni di Booker DeWitt nella modalità 1999. Realizzata dagli sviluppatori di Irrational Games per omaggiare gli hardcore gamer e gli utenti più nostalgici, la modalità 1999 stravolge l’esperienza di gioco con una brusca riduzione dei punti di respawn, dell’energia, dello Scudo Vigor e delle munizioni, oltreché con un aumento significativo del danno inflitto da ogni colpo inferto dal nemico, del tasso di prosciugamento della salute e del fattore di rigenerazione dello scudo. All’interno di questa modalità, per giunta, i potenziamenti delle armi e dei Vigor diventano permanenti e non possono essere deselezionati per poter rientrare del denaro speso.

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GRAFICA E SONORO

Il balbettante comparto tecnico di BioShock Infinite riflette e amplifica i problemi riscontrati in fase di sviluppo dagli autori degli studi Irrational Games, gli stessi problemi che negli ultimi due anni hanno indotto il team di Ken Levine a posticiparne più e più volte la data d’uscita al punto tale da indurre gli analisti di settore a metterne in dubbio la stessa commercializzazione. La Columbia scintillante e a mondo aperto dei primissimi filmati, infatti, ha finito con l’assumere i contorni di una “normale” città scriptata e lineare: grazie però all’enorme lavoro compiuto dai designer e dagli artisti digitali della rinomata sussidiaria americana di 2K Games, la natura “chiusa” delle ambientazioni viene splendidamente mascherata da interni sontuosi, da piazze pulsanti di vita e da scorci memorabili.

Nonostante le pesanti modifiche apportate all’Unreal Engine 3 per garantire al titolo un livello di dettaglio accettabile, comunque, dal punto di vista tecnico BioShock Infinite mostra tutti i limiti di un motore grafico incapace di rappresentare e di gestire al meglio le animazioni dei personaggi a schermo e le texture che mappano le superfici ambientali: è solo grazie alla fantasia e alla creatività degli uomini e delle donne di Ken Levine se possiamo godere di un’illuminazione ambientale egregia, di scene in cinematica irresistibili e di avversari straordinariamente caratterizzati.

La magistrale direzione artistica della trama e della componente stilistica della grafica trova una sintesi perfetta nei brani d’accompagnamento scelti per la colonna sonora di Infinite: alle immancabili canzoni d’inizio ‘900 e ai jingle originali prodotti dagli abitanti di Columbia, quei geniacci di Irrational Games decidono infatti di affiancare dei moderni brani rock e pop “scaturiti” dagli estemporanei squarci spazio-temporali che è possibile aprire esplorando a fondo gli anfratti più nascosti di Columbia.

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COMMENTO FINALE

BioShock Infinite è una gemma che splende di luce propria: la leggerezza con cui gli Irrational Games affrontano nel corso dell’avventura delle tematiche mature veicolando messaggi tanto profondi da meritare una recensione a se stante ha davvero del miracoloso.

Il lavoro che è stato fatto dagli autori del team di 2K Games, però, non va idealizzato: incardinatasi quasi esclusivamente sullo sviluppo della trama, la direzione artistica del team di Ken Levine ha infatti prodotto delle spaccature evidenti nella struttura di un gameplay che, proprio per questo, risulta essere ancora più datato di quanto non sia nella realtà.

Giocando, si ha inoltre l’impressione di assistere a un film interattivo in cui le scene di combattimento servono solo a fare da contorno alle sessioni esplorative e alle fasi di dialogo con Elizabeth: a dispetto della straordinaria profondità di campo offerta dagli spazi all’aperto della città utopistica di Comstock, l’universo digitale di Levine ci restituisce così l’immagine di una dimensione chiusa, di una bolla dorata con regole proprie che gli appassionati non possono modificare in alcun modo.

A prescindere dal mancato slancio di innovazione nelle meccaniche di gioco e dall’assenza di elementi sandbox con cui rendere più ricca e dinamica l’esperienza nei panni di Booker, BioShock Infinite riesce comunque a garantirsi un posto nell’Olimpo degli sparatutto in prima persona grazie a una regia da Oscar e da un tratto stilistico unico nel panorama dei videogiochi moderni.

Cosa ci piace
Cosa non ci piace
  • Trama e ambientazioni ispirate
  • Artisticamente e stilisticamente egregio
  • La caratterizzazione dei personaggi
  • La scarsa originalità del gameplay
  • Tecnicamente datato
  • La mancanza di elementi sandbox

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