Jordan Thomas, il direttore creativo di BioShock 2 presso 2K Marin, ha ufficialmente lasciato il suo incarico. Dalle pagine di Games Industry, lo sviluppatore assicura che la sua partenza non influirà sull’attuale progetto dello studio, The Bureau: XCOM Declassified, poiché il suo contributo al gioco era già terminato a inizio 2012.
Thomas ha fatto questa coraggiosa scelta di lasciare uno dei più grandi “big” dell’industria e provare la strada indipendente con un partner ancora sconosciuto allo scopo di avere la più completa libertà creativa possibile e, soprattutto, poter creare un gioco che possa definire “suo”. La sua decisione è maturata dopo aver finito di aiutare gli Irrational Games nello sviluppo di BioShock Infinite. Thomas spiega:
«Aver lavorato su BioShock Infinite mi ha fatto capire definitivamente che per me BioShock non sarà mai quello che è per Ken [Levine, creatore della serie, NdR]. Ho aiutato ad espandere la saga qua e la, ma non avrei mai potuto crearlo da zero. Ho bisogno di creare qualcosa che per me sia quello che BioShock è per Ken. Non importa quanto ci vorrà, devo cominciare subito»
Col senno di poi potremmi dire che questo “non sentire sua” la serie BioShock ha probabilmente influito sul lavoro che Jordan Thomas ha fatto per BioShock 2, titolo che non ha apportato alcuna novità degna di nota ma si è limitato a reiterare quanto già visto nel primo, fantastico BioShock creato da Ken Levine.
Nella nostra recensione di BioShock 2, Michele Galluzzi aveva infatti sottolineato come il gioco sembrasse più un’espansione del primo capitolo che un vero e proprio seguito: «Ciò che ci viene proposto adesso dai ragazzi di 2K Marin, infatti, più che il prosieguo logico di un discorso intrapreso nel 2007 è in realtà un’espansione che percorre strade narrative parallele a quelle battute da Jack due anni fa, prova ne sia il crollo qualitativo della trama di BioShock 2 rispetto agli standard cui ci ha abituati l’episodio passato.
Ovviamente apprezziamo l’implementazione della ricca componente multigiocatore, ma dovendo giudicare a freddo l’opera nel suo complesso non possiamo esimerci dall’affermare che una spinta innovatrice di più ampio respiro avrebbe permesso al titolo di raggiungere senza patemi d’animo la vetta artistica del suo genere di riferimento, senza rimanere impantanato nell’autocelebrazione di una saga che, a conti fatti, poteva definirsi più che conclusa già con il precedente episodio.»