Chi si trova ad analizzare la saga di Assassin’s Creed non può fare a meno di indicarla come una delle esperienze videoludiche più importanti e rappresentative di questa generazione di console: l’uscita nel 2007 del capitolo originario ha prodotto un terremoto culturale di magnitudine analoga a quella che accompagnò nel 2001 il lancio di GTA III. La storia di Desmond e la guerra millenaria tra la Confraternita degli Assassini e l’Ordine dei Templari ha calamitato le attenzioni di milioni di utenti, i salti della fede di Altair e le sue tecniche di mimetizzazione nella folla hanno rivoluzionato il genere degli action sandbox e la libertà anarchica di Ezio Auditore ha permesso agli autori di irrobustire la trama con una serie infinita di elementi presi di peso dagli strategici in tempo reale, dalle avventure stealth, dai manageriali e dai titoli rivolti al multiplayer.
Da questo punto di vista, Assassin’s Creed III non è che la naturale evoluzione di un processo creativo volto a donare all’utente la più completa libertà in un universo di gioco delimitato da un confine narrativo che reagisce plasticamente alle nostre azioni: la promessa degli Ubisoft Montreal di ampliare ulteriormente l’offerta videoludica della serie ha alimentato a dismisura le attese degli appassionati e ci ha accompagnati lungo tutti i mesi intercorsi dall’annuncio all’uscita dell’opera ultima di Desmond. Per questo, e per la mole smisurata di elementi da analizzare, evitiamo di dilungarci nelle presentazioni e vi lasciamo alla nostra recensione di Assassin’s Creed III.
I NODI VENGONO AL PETTINE
A esclusione dell’ottimo filmato riassuntivo che introduce la campagna principale di Assassin’s Creed III ripercorrendo le gesta di Altair e di Ezio, quasi tutti gli elementi narrativi che danno forma al primo atto dell’avventura finale di Desmond si riallacciano agli eventi dei capitoli precedenti: il 21 dicembre del 2012 è ormai imminente, e con esso incombe la minaccia dei gravi sconvolgimenti preannunciati dai Precursori. Pur senza essersi ancora ripreso dalla morte di Lucy e dalle parole pronunciate da Minerva e da Giunone nelle “comunicazioni olografiche” che hanno posto termine alla storia del secondo episodio “maggiore” e del successivo spin-off Brotherhood, il protagonista della saga non è più uno sprovveduto barman ma è diventato un giovane uomo temprato da secoli di esperienza acquisiti ripercorrendo le gesta dei suoi avi attraverso l’Animus, il “tavolo dei ricordi” trafugato ai nemici della Abstergo per poter accedere alle memorie genetiche latenti nel suo DNA.
Non dovendo più fare luce sulla storia dei Precursori e sui motivi che hanno spinto gli Assassini e i Templari a farsi la guerra dall’alba dei tempi, il modello narrativo adottato dai ragazzi di Ubisoft Montreal per plasmare la trama di Assassin’s Creed III si differenzia da quello degli episodi passati per consentire a Desmond di agire in completa autonomia per trovare una soluzione al cataclisma cosmico che rischia di riportare la razza umana all’età della pietra: dalla Terra Santa del 12° secolo di Altair al Rinascimento italiano di Ezio Auditore da Firenze si arriva così a ripercorrere gli anni della Rivoluzione Americana per trovare, nei panni dell’Assassino mezzosangue anglo-mohawk conosciuto come Connor (e in quelli di suo padre), gli ultimi frammenti di memoria necessari per salvare il pianeta su indicazione dei Precursori (o meglio, dei loro “fantasmi digitali” ricostruiti tramite i Frutti dell’Eden).
Tolti i brevi e saltuari momenti in cui ci si ritrova “staccati” dall’Animus per avere un riscontro sui ricordi sbloccati nel prosieguo dell’avventura, gran parte dell’esperienza di gioco di Assassin’s Creed III si dipana nelle Sequenze che, per più di 25 ore di gioco cumulative, ripercorrono a ritroso i trent’anni di vita di Connor: è qui che si nota il lavoro certosino che il team di autori di Ubisoft ha svolto per reinterpretare la storia americana in modo tale da farne rientrare le figure più importanti e carismatiche nella sfera d’influenza degli Assassini e dei Templari. La solidità del canovaccio narrativo di ACIII è seconda solo all’audacia che ha indotto gli sviluppatori canadesi a puntellare di riferimenti storiografici la loro trama fittizia e a trovare un nuovo contesto alle personalità di spicco della guerra d’indipendenza americana: anche per questo, l’avventura di Assassin’s Creed III riesce a sganciarsi dagli stilemi del passato e ad abbracciare una nuova formula che, di sequenza in sequenza, lascia le ambientazioni in secondo piano per porre l’accento sul rapporto tra i vari attori incontrati da Connor. Alla “pesantezza” della storia fa però da meraviglioso contraltare un modello di gioco open-world che garantisce agli appassionati una libertà senza eguali e una pletora infinita di cose da fare a prescindere dagli eventi della campagna.
CONNOR L’ESPLORATORE
Dal punto di vista delle meccaniche di gioco spicciole, Assassin’s Creed III può essere candidamente considerato il capitolo più “libero” dell’intera serie. Se le azioni da portare a termine per raggiungere una sincronia totale con le Sequenze della campagna in singolo seguono uno schema estremamente lineare basato sulla capacità di raggiungere uno o più obiettivi mantenendo un approccio “silenzioso”, di tutt’altro tenore sono invece le attività in cui è possibile tenersi impegnati parallelamente alle vicende della trama. La vocazione esplorativa di ACIII trova una sua dimensione nella Frontiera, la sconfinata area di gioco che si somma alle zone “civilizzate” di Boston e New York per offrire decine di chilometri quadrati di territori selvaggi con fiumi, montagne, grotte e piccoli villaggi colonici immersi nella natura incontaminata.
La presenza stessa della Frontiera apre degli scenari completamente inediti che avvicinano la serie di Assassin’s Creed all’esperienza di gioco di Red Dead Redemption: come nel capolavoro targato Rockstar, infatti, anche nell’ultima creatura di Ubisoft Montreal ci si può dilettare nella caccia (con annesso impiego delle trappole e delle esce), nella ricerca dei tesori sepolti dalle tribù indigene e dai coloni, nel commercio (il sistema economico risulta essere decisamente più solido rispetto a quello di Revelations) e nello scambio di informazioni con delle comunità isolate di esploratori, di indiani e di cacciatori ben disposte a condividere con noi i loro racconti su strane luci che guizzano in cielo nel buio della notte, su Bigfoot famelici che abitano le vette più impervie e su tutte quelle improbabili esperienze “di confine” che agitano il sonno dei vagabondi obbligati, durante gli anni bui del dominio inglese, a lasciare gli insediamenti più popolati per addentrarsi nel fitto di una foresta lottando giornalmente per la propria sopravvivenza contro puma, lupi e linci.
Complementare e parallela alla vita “di Frontiera” troviamo poi la complessa gestione della Tenuta Davenport, una splendida villa colonica con un grande appezzamento di terra da popolare di fabbri, di artigiani, di locandieri, di cacciatori e di contadini assoldabili portando a termine determinate missioni secondarie sbloccabili in ogni sequenza (e questo a prescindere dal livello di sincronizzazione raggiunto): le meccaniche manageriali della Tenuta Davenport ricalcano quelle di Monteriggioni in ACII ampliandole con la possibilità di intrattenere degli interscambi commerciali con le città limitrofe e, soprattutto, di lanciarsi all’avventura al timone dell’Aquila, un vascello con cui “tenere a bada” gli inglesi combattendo delle aspre battaglie navali per il controllo delle rotte commerciali dell’Atlantico.
Gli scontri navali sono tra i pochi elementi d’innovazione “pura” di un titolo che, al netto della Frontiera e di tutte le attività “secondarie” ad essa correlate, dimostra comunque di rimanere ben ancorato alla tradizione dei capitoli passati e di esserne fedele all’impostazione di fondo: la gestione della Gilda degli Assassini, la ricerca dei tesori e delle piume, le missioni di consegna della posta (???) e le attività sovversive per riportare i quartieri di Boston e New York sotto il controllo della Confraternita, infatti, non fanno che ricalcare gli obiettivi e le missioni secondarie che hanno contraddistinto l’esperienza di gioco dei precedenti episodi della saga.
Tutto ciò, comunque, non vieta agli Ubi di inserire nel calderone delle innovazioni di ACIII anche uno degli elementi che contraddistinguono da sempre questa serie dagli action-adventure concorrenti, ossia quello legato al sistema di movimento e combattimento. I cambiamenti apportati in tal senso, comunque, non stravolgono l’impianto “classico” della saga ma si limitano a rinnovarlo e a scremarlo di aspetti considerati “pesanti”: le azioni compiute per scalare degli ostacoli verticali, ad esempio, sono state semplificate per permettere all’utente di utilizzare il solo stick analogico sinistro (e non più una combinazione di tasti e di levetta) per raggiungere la vetta di un promontorio, il tetto di una casa colonica o i rami più alti di un albero. Anche per quanto riguarda gli scontri si è provveduto ad automatizzare determinate azioni e a rendere più agevole ogni attacco: diversamente dai suoi avi, infatti, il buon Connor non deve più “inquadrare” il nemico di turno e può affrontarlo ricorrendo alla pressione di un solo tasto per l’attacco frontale e ad un altro pulsante per evitare gli affondi avversari: l’avo indiano di Desmond può persino colpire i soldati inglesi con la rincorsa e utilizzarli come scudi umani quando si trova sotto il fuoco incrociato del Templare di turno.
Il lavoro compiuto dagli sviluppatori della sussidiaria canadese di Ubisoft per offrire una quantità smisurata di compiti secondari a cui dedicarsi tra una missione e l’altra della campagna principale favorisce però tutta una serie di sviste, di svarioni e di vere e proprie cadute di stile: il modo barbaro in cui Connor scuoia gli animali predati, ad esempio, è quanto più lontano possa essere assimilato alla cultura dei Mohawk e al sacro rispetto che gli indiani del Nord America nutrono da sempre nei confronti della Madre Terra e delle sue creature. Ancor meno giustificabili sono poi le problematiche legate alla gestione dell’intelligenza artificiale dei nemici, una macchia che accompagna la saga sin dagli esordi: il “codice cavalleresco non scritto” che muove la mano dei soldati e persino delle bestie feroci, infatti, stranamente impedisce loro di attaccarci in gruppo. Tolti i fucilieri e gli avversari “di disturbo”, i nemici continuano imperterriti a farsi avanti solo uno per volta: per questo, e per l’assenza del fastidioso sistema di lock-on dei capitoli passati, nell’universo di ACIII paradossalmente è possibile conquistare un’intera roccaforte picchiando a mani nude una cinquantina di guardie senza subire danni gravi.
MULTIPLAYER
Pur con tutte le attività disponibili nella campagna principale di Assassin’s Creed III, i ragazzi di Ubisoft Montreal hanno deciso di strafare e, sulla scorta dell’ottimo lavoro compiuto con Brotherhood prima e con Revelations poi, si sono impegnati per ampliare ulteriormente l’offerta videoludica collegata alle modalità multiplayer competitive. A dare il benvenuto agli amanti dell’azione in rete ci pensa un’interfaccia completamente nuova che, dal triplice tutorial al modulo per la personalizzazione del proprio alter-ego, risulta essere decisamente più fruibile.
Anche sul versante “ludico” assistiamo a una piccola ma sostanziale evoluzione: le classiche sfide cacciatore-preda all’interno di arene chiuse e di aree geograficamente limitate, ad esempio, sono state “rinfrescate” con la possibilità di lanciare dei mucchi di monete per smascherare l’assassino mentre tutti i “veri” passanti si chinano per raccogliere il danaro. Ben più importante è invece l’introduzione della modalità Branco basata su una serie di sfide cooperative in cui un gruppo di utenti deve collaborare per uccidere uno o più avversari guidati dalla CPU entro un determinato lasso di tempo.
L’ultima innovazione apportata dagli Ubi all’impianto multiplayer di ACIII strizza l’occhio all’universo free-to-play ed è costituita dai Punti Erudito, dei pacchetti di punti scaricabili dal sistema di microtransazioni interno del titolo per velocizzare il passaggio da un livello all’altro.
GRAFICA E SONORO
Tecnicamente parlando, i passi in avanti compiuti dagli Ubisoft Montreal per dare forma al comparto grafico di Assassin’s Creed III sono tutti ricondubili alla Frontiera, o meglio, alla necessità di riprogrammare da zero il codice del “vecchio” Revelations per fare in modo che le ambientazioni possano essere caricate in streaming e reagire dinamicamente all’evolversi delle condizioni meteorologiche e al susseguirsi delle stagioni. Nonostante la straordinaria opera di “storicizzazione” degli ambienti urbanizzati e dei territori selvaggi, comunque, nel computo degli aspetti positivi e negativi della grafica non si può non tenere presente che la complessità artistica delle colonie americane nel tardo 1700 non è minimamente paragonabile a quella delle città rinascimentali di ACII: per ricreare Firenze c’è voluto il triplo del tempo che è stato necessario agli sviluppatori canadesi per dare forma alla Frontiera, e questo, purtroppo, non si riflette solo nella ricchezza di dettagli delle ambientazioni naturali ma lo si nota anche dalla ripetitività che affligge i quartieri colonici di Boston e di New York. Come in ogni action sandbox che si rispetti, inoltre, anche Assassin’s Creed III cade preda di bug, di glitch e di errori di programmazione vari, dalle animazioni nelle sessioni a cavallo alle bizze dell’interfaccia dell’Animus alla fine di ogni Sequenza, fino ad arrivare agli artefatti nelle texture, alla compenetrazione dei modelli poligonali e ai ritardi nel caricamento in streaming degli elementi in lontananza (come l’erba nelle alture senza alberi che puntellano l’entroterra delle città).
Le montagne russe qualitative della grafica, grazie al cielo, evitano di riverberarsi sul comparto audio e su tutto ciò che ha a che fare con la colonna sonora. Il doppiaggio in italiano, ad esempio, è così profondo da comprendere sia i dialoghi tra i personaggi principali che le centinaia di frasi “di supporto” pronunciate dagli strilloni, dalle guardie e dai semplici passanti.
COMMENTO FINALE
A prescindere dalla ricchezza di contenuti, dalle ore di spensierato divertimento open-world garantite dalla Frontiera, dalla bontà del canovaccio narrativo e da tutto ciò che rende grande questo titolo e lo pone nell’Olimpo degli action adventure, le innovazioni di Assassin’s Creed III peccano in “coraggio” e finiscono con l’utilizzare il linguaggio videoludico dei capitoli precedenti. Tutto, ovviamente, è amplificato dall’eccessivo sfruttamento del marchio e dal fatto incontrovertibile che, tra spin-off, capitoli maggiori e versioni portatili, in cinque anni di vita la serie ha prodotto ben nove episodi. I giudizi conclusivi su Assassin’s Creed III riflettono questo dato e tracciano la profonda linea di demarcazione che, in questa come in altre recensioni, ha portato a una duplice chiave di lettura sugli aspetti evidenziati dagli entusiasti e sui punti di criticità messi in luce dai delusi.
Comunque la si pensi, però, l’avventura di Desmond è giunta al termine e con essa si chiude un intero ciclo di sviluppo creativo: il lavoro compiuto dagli Ubisoft Montreal dal 2007 ad oggi ha contribuito in maniera determinante a scardinare i pregiudizi e le incomprensioni che per decenni hanno tenuto lontano i videogiochi dalle altre forme d’arte moderna (come il cinema), ma ha avvalorato la tesi di chi guarda all’intrattenimento digitale come ad una terra di conquista in cui i più forti o i più attrezzati (le multinazionali dal sequel facile) hanno sempre la meglio sui più deboli e sugli “emarginati” (le case di sviluppo indipendenti e i team più coraggiosi). Senza uno slancio di originalità più marcato, la serie di Assassin’s Creed è destinata a giocare un ruolo sempre più marginale nell’industria videoludica del futuro.
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