Durante l’ultima settimana ha tenuto banco la questione inerente la pronuncia della Corte di Cassazione in merito all’illegalità o meno delle modifiche su console. Per coloro i quali si fossero persi alcuni passaggi, AESVI (Associazione Editori Software Videoludico Italiana) ha espresso in data 12 Maggio la propria approvazione circa il fatto che la Cassazione avesse ribadito che modificare console fosse reato.
Qualche giorno dopo è arrivata la replica di Recoverybios, nella persona del proprio amministratore Francesco Campa. Quest’ultimo intervento ha opposto invece la tesi secondo cui la Cassazione non si fosse espressa in maniera definitiva, rilevando come, di fatto, modificare console non fosse ancora da considerarsi illegale.
A questo punto era del tutto lecito attendersi una contro-risposta da parte di AESVI, la quale ci ha contattato al fine di poter fornire ulteriori chiarimenti. A quanto pare il fraintendimento verterebbe sulla diversa interpretazione adottata da Recoverybios riguardo il rinvio al Tribunale del Riesame di Firenze. In ogni caso, dopo il salto troverete il comunicato pervenutoci in redazione.
Comunicato di AESVI in risposta a Recoverybios (18 Maggio 2010)
Spettabile Redazione,
inviamo la presente in replica alla lettera del dott. Francesco Campa apparsa sul Vostro sito nella giornata di ieri con il titolo “La modifica di console è assolutamente legale” a commento di un comunicato stampa emesso dalla nostra Associazione la scorsa settimana in merito ad un’importante decisione assunta dalla Corte di Cassazione il 12 maggio 2010 in tema di modifica delle console per videogiochi.
Riteniamo necessario prendere una posizione rispetto alla ricostruzione effettuata dal dott. Francesco Campa in quanto la stessa, oltre ad essere lesiva dei diritti e dell’immagine della nostra Associazione, appare completamente errata dal punto di vista giuridico e ha, purtroppo, come unico effetto quello di creare confusione in un campo in cui sarebbe al contrario indispensabile fornire ai lettori un quadro di riferimento chiaro e soprattutto in linea con la giurisprudenza esistente.
La decisione della Corte di Cassazione del 12 maggio 2010 nasce dal ricorso del Pubblico Ministero (P.M.) avverso l’ordinanza del Tribunale del Riesame di Firenze che aveva accolto il ricorso dell’indagato e annullato il sequestro di cui era stato oggetto. Il ricorso del P.M. era fondato solo su ragioni di merito, dal momento che l’unico motivo indicato nello stesso risulta essere la violazione o l’erronea applicazione della legge penale nella parte in cui il Tribunale del Riesame di Firenze aveva ritenuto che la condotta contestata all’indagato non potesse integrare l’illecito di cui all’art. 171 ter L.A.
Ora, il provvedimento della Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza impugnata rinviando al Tribunale di Firenze. Ciò significa una cosa sola, ovvero che l’ordinanza è stata annullata in virtù dell’unico motivo di ricorso. Fermo restando, dunque, che sarà necessario attendere le motivazioni della decisione per valutarne appieno la portata, è già possibile affermare fin d’ora, sulla base del solo dispositivo, che la Corte, accogliendo l’unico motivo di ricorso presentato dal P.M., ha necessariamente ritenuto che la condotta contestata all’indagato integra l’illecito di cui all’art. 171ter L.A. Pertanto è certo vero che ora c’è bisogno di una nuova pronuncia del Tribunale di Firenze, ma è altrettanto vero che quest’ultimo dovrà decidere uniformandosi ai principi di diritto formulati dalla Corte, ciò che è obbligatorio nel procedimento in questione.
Più in generale si deve poi sottolineare che la Corte di Cassazione ha anche, in Italia, la cosiddetta funzione “nomofilattica”, ossia quella di fornire criteri interpretativi unitari delle norme di legge, a cui i giudici di merito dovrebbero attenersi in modo da garantire una attuazione uniforme del diritto. In altre parole, la portata di un pronuncia della Corte di Cassazione non esaurisce qualsiasi suo effetto esclusivamente all’interno del giudizio cui si riferisce, ma esplica invece effetti – più in generale – sull’orientamento interpretativo adottato dalle corti di merito.
Con specifico riguardo alla giurisprudenza in materia di console modificate, è inoltre necessario precisare che le interpretazioni giurisprudenziali, citate dal dott. Francesco Campa nella sua lettera, secondo cui le condotte di modifica delle console non costituirebbero reato, attengono solo alle decisioni finora rese in fase di merito. Infatti l’orientamento espresso dalla Corte di Cassazione in tutti i casi portati alla sua attenzione è del tutto univoco: non esistono precedenti della Suprema Corte che avallino la tesi della liceità della modifica delle console videoludiche, ma solo decisioni secondo le quali le attività in questione costituiscono reato, in particolare le decisioni del 3 settembre 2007 e del 12 maggio 2010.
Con riferimento, poi, al procedimento che secondo il dott. Francesco Campa sarebbe pendente avanti all’Autorità Garante per la Concorrenza ed il Mercato, in materia di misure tecnologiche di protezione apposte sulle console videoludiche, rileviamo che lo stesso non avrebbe in ogni caso nulla a che fare con la giurisprudenza penale sopra indicata, relativa all’applicazione dell’art. 171ter L.A.Infine, sempre tenendo conto del quadro sopra delineato, dobbiamo anche segnalare che appare fuorviante lo stesso titolo attribuito alla lettera del dott. Francesco Campa (“La modifica di console è assolutamente legale”): non solo – come si è visto – la giurisprudenza della Corte di Cassazione in sede penale è in realtà di contenuto diametralmente opposto, ma la condotta in questione è certamente illecita anche sotto il profilo civile, come fra l’altro affermato anche da alcune recenti decisioni del Tribunale di Milano. Ne deriva che in ogni caso – e cioè anche se per assurdo fosse vera (e non lo è) la tesi del dott. Francesco Campa – la modifica di console resterebbe in ogni caso illegale sotto il profilo civile.
Alla luce di quanto sopra esposto, appare evidente che il comunicato stampa emesso la scorsa settimana dalla nostra Associazione, pur sottolineando la necessità di attendere il deposito delle motivazioni della decisione della Corte di Cassazione, è perfettamente in linea con quanto desumibile dalla decisione in questione. E questa sicurezza non deriva da doti divinatorie della nostra Associazione, bensì dall’applicazione dei normali criteri interpretativi in materia di diritto penale e processuale penale.
Grati dello spazio che ci vorrete dare, ci teniamo a ribadire che AESVI continuerà a svolgere con determinazione le proprie attività di lotta alla pirateria nell’interesse dello sviluppo del mercato in Italia per offrire ai consumatori esperienze di gioco sempre più innovative e favorire la creazione di posti di lavoro in uno dei settori più dinamici dell’entertainment. Per questo siamo naturalmente disponibili a dialogare con tutti i rivenditori e gli utenti che avessero dubbi in tema di modifica delle console videoludiche.
Associazione Editori Software Videoludico Italiana
Comunicato di Francesco Campa, Amministratore di Recoverybios (16 Maggio 2010)
Leggiamo con stupore, per non dire sgomento, un comunicato stampa della Associazione Editori Software Videoludico Italiana (AESVI), dal roboante titolo “La Cassazione conferma che modificare le console è reato”.
Pur non essendo nostro costume prendere posizione attraverso i mass media notizie su procedimenti in corso e pendenti in fase di indagini preliminari, la singolare iniziativa della AESVI, in uno con le doti divinatorie sottese al comunicato stampa – che da una parte ammette che non è ancora depositata la motivazione, salvo affermare sin d’ora, non si sa su quali basi, che la Suprema Corte avrebbe “confermato” l’illiceità delle modifiche sulle console (sic!) – ci costringe ad alcune precisazioni, con l’unico scopo di tentare di ristabilire la verità.
La decisione annullata dalla Corte di Cassazione, anzitutto, è un’ordinanza del Tribunale del Riesame di Firenze, che aveva a sua volta annullato un decreto di sequestro emesso dalla Procura fiorentina, accogliendo il ricorso presentato dall’avvocato Sandro Guerra nell’interesse della società Recoverybios.com s.r.l.
Nel provvedimento dei Giudici del riesame – emesso il 12 gennaio 2010 – si ribadiva, con estrema chiarezza, l’irrilevanza penale delle modifiche alle console essendo queste ultime finalizzate non già a favorire la violazione dei diritti d’autore, bensì a consentire al consumatore di fruire di software sviluppato da soggetti terzi e, comunque, ad arricchire il novero delle funzionalità dei dispositivi meglio noti come console.
Conformemente alle statuizioni già adottate in Australia, Francia, Spagna e Regno Unito, il Tribunale fiorentino ha escluso che possa parlarsi di misure tecnologiche di protezione tutelate dalla legge sul diritto d’autore ogniqualvolta queste siano implementate non sulle opere protette, ma sull’hardware, cioè sulla console.
L’ordinanza in questione, peraltro, era del tutto in linea con l’orientamento precedentemente espresso dal Tribunale di Firenze in altra ordinanza del 19 febbraio 2008, nella quale è dato leggere «[…] non si può secondo il nostro Ordinamento e secondo anche principi basilari di Diritto comunitario impedire al proprietario che acquista un computer o qualsiasi altra “macchina” di farne uso lecito ed anche creativo vincolandolo monopolisticamente a certe modalità e programmi imposte dalla casa produttric[e], al fine di sottrarsi ai meccanismi della libera concorrenza. In altri termini è pienamente convincente e si direbbe democraticamente costituzionale la lettura che, in questo filone viene svolta delle norme in questione, come tutela del diritto d’autore e dei supporti tecnologici che proteggono tale diritto in via mediata e non certo di accorgimenti che servono solo per incentivare posizioni monopolistiche ed acquisire rendite di posizione di mercato».
Ed era in linea, oltretutto, con quanto già stabilito dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Firenze in altro provvedimento del 28 dicembre 2009, adottato per rigettare una richiesta di sequestro preventivo avanzata dalla Procura fiorentina su istanza di un noto produttore di console: «il sistema di riconoscimento tra console e supporto del videogioco», si legge nell’ordinanza, «svolge solo la funzione di impedire l’interoperabilità con apparecchi e supporti non graditi al produttore della console. Il dispositivo tecnologico infatti consiste di un codice che è sì applicato al videogioco, ma per essere riconosciuto dalla console; e mira ad impedire non già direttamente la duplicazione abusiva del videogioco ma il riconoscimento da parte della console del videogioco duplicato e, quindi, la possibilità di lettura del medesimo».
L’ordinanza del 12 gennaio 2010, in effetti, è stata annullata dalla Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione, ma con rinvio al Tribunale di Firenze e non senza rinvio; segno, questo, che il “titolo” del comunicato stampa AESVI è del tutto erroneo, non solo perché in sede di riesame non si valuta la sussistenza di un reato (ma solo la sua astratta configurabilità, peraltro già esclusa dal Tribunale di Firenze), ma anche, e soprattutto, perché solo dalla lettura della motivazione della sentenza si riuscirà a comprendere sotto quale profilo il giudice di legittimità abbia ritenuto la vicenda meritevole di un nuovo esame.
E davvero non abbiamo motivo di ritenere che il Tribunale di Firenze si discosterà, nel giudizio di rinvio, dal proprio precedente e consolidato orientamento.
Ci auguriamo, per l’avvenire, che un’Associazione così importante presti maggiore attenzione e si astenga da iniziative che, oltre ad essere poco rispettose per il lavoro di Giudici che non hanno ancora motivato la loro decisione, non fanno altro che contribuire a creare confusione in un settore dove, come ognun vede, ce n’è già troppa.
Rileviamo, infine, sia pure incidentalmente, che l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha avviato un procedimento volto a verificare la liceità dell’implementazione di “misure tecnologiche” consistenti nella “blindatura” dell’hardware commercializzato e del suo “gemellaggio” con il software licenziato dai produttori, a discapito dei diritti degli sviluppatori terzi e indipendenti e, quindi, alla fin fine, del consumatore.
Comunicato di AESVI in merito alla pronuncia della Corte di Cassazione (12 Maggio 2010)
Roma, 12 maggio 2010 – Nella giornata di ieri la terza sezione penale della Corte di Cassazione si è pronunciata in materia di misure tecnologiche di protezione apposte sui videogiochi, annullando con rinvio la decisione emessa lo scorso gennaio dal Tribunale del Riesame di Firenze, con cui il medesimo Tribunale aveva ritenuto che le attività commerciali correlate alla modifica di console per videogiochi e alla vendita di prodotti per l’elusione di misure tecnologiche di protezione non costituisse reato ai sensi dell’art. 171 ter della legge sul diritto d’autore.
Per valutare la portata della decisione della Corte di Cassazione bisognerà aspettare il deposito delle motivazioni del provvedimento. Tuttavia, si può già affermare che si tratta di una conferma importante circa l’illiceità penale del comportamento di coloro che svolgono commercialmente attività di elusione di misure tecniche di protezione, sulle scorte della precedente pronuncia della Suprema Corte del 25 maggio 2007, con la quale era appunto stata affermata l’illiceità di dispositivi di elusione e altri strumenti che hanno come scopo la rimozione o l’elusione di misure tecniche di protezione.
“Visto il dispositivo del provvedimento della Suprema Corte, attendiamo con fiducia il deposito delle motivazioni, nelle quali riteniamo verrà ribadito con forza il principio per cui le attività commerciali relative alla modifica di console oppure alla elusione delle misure tecniche di protezione poste sui videogiochi costituisce reato” – ha commentato Gaetano Ruvolo, Presidente AESVI – “A parte l’impatto sul caso specifico, il provvedimento della Cassazione consente di dare visibilità e censurare il gravissimo problema della pirateria che colpisce in modo sempre maggiore il mercato dei videogiochi e che viene erroneamente considerato come un comportamento accettabile e privo di conseguenze legali”.